Alla conferenza di partito dei tories a Birmigham, Sajid Javid, il segretario di Stato per gli affari interni ha promesso regole su cittadinanza e immigrazione più severe dopo la Brexit. Già a marzo era stata annunciata una nuova strategia di integrazione rivolta a cinque città inglesi, Bradford, Blackburn, Peterborough, Walsall e Waltham Forest, a Londra – selezionate perché richiedevano “un aiuto speciale”. La strategia aveva previsto ben 50 milioni di sterline da investire per migliorare il contesto e l’integrazione nell’arco di due anni.
“Non si può ignorare il fatto che in troppe parti del nostro Paese le comunità siano divise”. In Gran Bretagna si è al cospetto di intere città in cui coesistono due comunità, quella islamica e quella occidentale, in maniera del tutto separata. Tant’è vero che tra le proposte nella strategia di governo ci sono, tra le tante cose, lezioni d’inglese – perché gli islamici non vogliono neanche parlare la lingua del posto – e la “promozione dei valori britannici” nel curriculum scolastico.
D’altronde andare a spasso per il Paese della regina, e soprattutto a Londra, vuol dire scontrarsi con un multiculturalismo che ha fallito. Donne e ragazze in hijab, niqab e abaya; uomini che indossano calze e tuniche arabe, con i pantaloni appena sopra le caviglie come sull’esempio di Maometto; il sesso femminile che aspetta fuori dai negozi dove sono entrati mariti e figli, come a Riyadh, ma invece è Londra.
A Newham e a Tower Hamlets, quartieri a Est di Londra, i musulmani, rispettivamente, raggiungono le percentuali del 35 e del 38%, tra le più alte del Paese.
A Bradfor, a Luton, Slough, Leicester, Birmingham, la storia non cambia. E succede che se si passeggia al venerdì, al momento dell’adhan – l’invito alla preghiera islamica – si può notare lo scontro tra le due società: i musulmani, a testa bassa, che corrono lungo i marciapiedi verso la moschea, e i non musulmani che, si muovono nel senso opposto.
Ogni “gruppo” mantiene le distanze e cerca di evitarsi, quanto meglio, anche il contatto visivo. Può capitare d’imbattersi in cartelli che recitano, “zona con restrizioni alcoliche”, o “sharīʿah zone”.
Nelle moschee gli imam forniscono una cospicua letteratura ai nuovi adepti: il primo mandato consiste nell’incoraggiarli a ristabilire la Shari’ah e la legge islamica più in generale nel Paese, perché, aggiungono, “coloro che ignorano questo mandato sono di scarso valore per qualsiasi società”.
Londra è una città, come tante altre capitali d’Europa, deturpata da barriere antiterrorismo, e da controlli ovunque.
Ci sono caffè per soli uomini, quartieri dove l’ingresso a donne bianche è vivamente sconsigliato, negozi che vendono bambole in hijab e con visi senza lineamenti – le raffigurazioni sono proibite dall’islam.
La moschea londinese, Masjid al-Tawhid, ha gl’ingressi separati per i due sessi, mentre al Consiglio islamico della Shari’a di Leyton (Londra), vengono fornite istruzioni che coinvolgono la sfera religiosa, educativa e persino commerciale, per conservare una identità separata da quella inglese.
A Luton il cibo, dai ristoranti ai supermercati, è halal, le palestre sono separate per sesso, le boutique mostrano in vetrina hanno uno stile non proprio inglese, si notano bandiere pakistane ovunque.
Di tanto in tanto c’è una chiesa cristiana, ma è abbandonata o vandalizzata. Nel cuore della multiculturale Brixton – quartiere di Londra – c’è la più alta concentrazione di islamici salafiti, e la maggioranza è costituita da donne.
Oggi la cartina dell’Inghilterra non è costellata mica da Union Jack, ma da corti della sharīʿah, quelle ufficiali sono oltre cento. “Londra è più islamica di tanti paesi musulmani messi assieme”, parola di Maulana Syed Raza Rizvi, predicatore pakistano stanziato in Gran Bretagna, perché libero di sentirsi “più musulmano che in altri Paesi” per via della libertà di culto e del multiculturalismo.
Era il 1996 quando il Principe Carlo disse, “l’Occidente materialista ha molto da imparare dall’islam”.
Evidentemente quel giorno qualcuno deve averlo preso sul serio, ed oggi sono tre gli edifici governativi a Londra, nelle mani di investitori islamici, dove vige la sharīʿah, diventata inglese come i taxi neri. E’ questo il multiculturalismo inglese: niente integrazione, solo segregazione della civiltà Occidentale.