Un paio di anni fa Matteo Salvini – a Pontida – elogiò la maglietta dove stava scritto “Il mio papa è Benedetto XVI”. Lo fece in implicita polemica con il migrazionismo di Bergoglio. Salvini ricordò l’insegnamento di papa Ratzinger e Giovanni Paolo II secondo cui prima del diritto di emigrare, va riaffermato il diritto di non emigrare. E va difesa l’identità dei popoli.
Ma molto più vasta di questo particolare tema è la sovrapposizione fra le battaglie politiche della sua Lega e l’insegnamento di Benedetto XVI (e di Giovanni Paolo II).
Lo mostra clamorosamente l’ultimo libro appena uscito del papa emerito, “Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio” (Cantagalli).Va premesso che è un libro ricchissimo di riflessioni e spunti che immediatamente ci ricorda il fascino e la vastità del pensiero di Ratzinger.
Un pensiero che giganteggia se confrontato con la miseria e la superficialità conformista dello zoppicante eloquio bergogliano, il quale non va oltre i banali slogan “politically correct” graditi dai padroni del vapore.
In questa sede perciò non proverò nemmeno a riassumere le tante e meravigliose pagine di Benedetto XVI che spaziano da Kant a Solzenicyn, dal primato della coscienza a Sacharov, da Popper a Sartre, dalla meditazione sulla musica di Bach per la Passione di Cristo in relazione al “Venerdì Santo del XX secolo” alla concezione dello Stato dei primi cristiani, dal crocifisso di Grünewald (il celebre Altare di Isenheim) a Marx e Lenin.
Ognuno potrà deliziarsi di queste pagine ratzingeriane che sono luminose e vaste come una bella vallata della campagna toscana.
Qui invece vorrei considerare questo libro come se fosse un vero e proprio intervento sull’attualità politica, anzitutto quella italiana ed enucleare i temi e i pensieri che – pur rappresentando un potente suggerimento per tutti – costituiscono per Matteo Salvini e la Lega un contributo autorevole a certe loro battaglie.
Anzitutto la questione islamica. In questo volume non viene riproposto il mitico discorso di Ratisbona (è stato pubblicato altrove), ma è comunque preziosa l’apologiache – in dialogo con Marcello Pera – Benedetto XVI fa dei diritti umani come “forza riconosciuta dalla ragione universale in tutto il mondo contro le dittature di ogni tipo”: se nel Novecento questa affermazione riguardava solo i sistemi totalitari atei oggi – dice il papa – riguarda soprattutto “gli Stati fondati sulla base di una giustificazione religiosa, così come li incontriamo soprattutto nel mondo islamico”.
Tutto questo libro di Benedetto XVI – in linea col discorso di Ratisbona – è un’apologia della ragione e della vera laicità che è stata partorita dal cristianesimo (in opposizione alla divinizzazione del potere imperiale dell’antichità).
Un altro tema che arricchisce la prospettiva politica del leader leghista è la polemica di Benedetto XVI con l’attuale Europa la cui tecnocrazia cerca di imporre un pensiero unico positivista che però rappresenta il suicidio dell’Europa.
Perché – come ricorda il papa – “il patrimonio culturale dell’Europa” è molto più vasto e, storicamente, proprio “sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura (…). La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa”.
Da cui viene la responsabilità di battersi “per la dignità inviolabile dell’uomo”. Questo triplica incontro “ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico”.
Ma oltre ad abbattere il mito ideologico dell’Europa relativista di Maastricht, Benedetto XVI demolisce l’altra divinità del momento: i mercati. Una divinità osannata e adorata a cui vengono sacrificati gli Stati e i popoli.
Contro la religione mercatista il libro ripropone il Messaggio del 1° gennaio 2013 dove, nell’imperversare della crisi economica, Benedetto XVI prospetta “un nuovo modello economico” in cui la “massimizzazione del profitto” ceda il passo al primato del bene comune.
Chiede dunque agli Stati di riprendere l’iniziativa in campo economico con “politiche di sviluppo industriale e agricolo” (quindi Keynes, che è reso impossibile dalla moneta unica in Europa) e poi chiede la “fondamentale e imprescindibile strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali in modo da non arrecare danno ai più poveri”.
Che significa rivendicare il primato degli Stati e dei popoli sui mercati. Oggi è un pensiero rivoluzionario.
Benedetto XVI è così anticonformista e indigesto per il potere globale che, nel recente libro intervista “Ultime conversazioni”, si è permesso una elegante stroncatura di Obama e un significativo apprezzamento per il leader russo:
“(Con Putin) abbiamo parlato in tedesco, lo conosce perfettamente. Non abbiamo fatto discorsi profondi, ma credo che egli – un uomo di potere – sia toccato dalla necessità della fede. E’ un realista. Vede che la Russia soffre per la distruzione della morale. Anche come patriota, come persona che vuole riportarla al ruolo di grande potenza, capisce che la distruzione del cristianesimo minaccia di distruggerla. Si rende conto che l’uomo ha bisogno di Dio e ne è di certo intimamente toccato. Anche adesso, quando ha consegnato a papa Francesco l’icona, ha fatto prima il segno della croce e l’ha baciata”.
Si può dire che, insieme alla Costituzione e al Vangelo, Salvini alla prossima manifestazione può sventolare il libro di Benedetto XVI, una grande riflessione politica.
Antonio Socci
Da “Libero”, 12 maggio 2018
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