Che cosa accomuna gli immigrati accusati di essere terroristi, le prostitute e i gay? Sono tutti dei “diversi” vittime di odio e intolleranza. “Etichette” che però mostrano che la diversità è soltanto nella nostra testa. E’ questa la conclusione alla quale sono giunti alcuni ragazzi di un clan scout in provincia di Vicenza. Si apre così, con questa frase un po’ da tutte le stagioni, buona per tutto, una ricerca che l’Agesci di Montecchio Maggiore ha condotto andando a intervistare alcuni “testimoni di diversità”.
La cosa non è andata a giù a qualche parrocchiano della comunità di Santa Maria e San Vitale, che ha pubblicato e diffuso l’opuscolo presentandolo come un’iniziativa lodevole.
Sarà così? La Nuova BQ è entrata in possesso di una sola parte dell’opuscolo, quella rivolta all’analisi del caso “omosessualità” e ce ne sarebbe abbastanza per dire che di lodevole c’è ben poco, soprattutto quando i ragazzi concludono che grazie alla legge Cirinnà “sui diritti degli omosessuali fortunatamente il nostro Paese ha finalmente fatto dei piccoli ma grandi passi avanti”.
Ma anche quando dopo aver intervistato una donna omosessuale che vorrebbe farsi una famiglia e una psicologa clinica i ragazzi hanno concluso che “non vi sono prove che dimostrino che un bambino che abbia due genitori che lo desiderano lo amano e si prendono cura di lui possa essere fuorviato o turbato dal loro orientamento sessuale”.
La verità in realtà non sta così. Ma senza addentrarci in una questione che abbiamo già affrontato, il caso di Vicenza è interessante perché ormai il tema dell’omosessualità è così sdoganato anche nel mondo cattolico che ormai non si mette neppure più in discussione quello che per il Catechismo è ancora un disordine.
Lo si affronta già dal punto di vista sociologico e lo si fa analizzare a dei ragazzi con la scusa che si devono pur fare un’opinione nel cammino della scoperta della realtà. E pazienza se le guide che dovrebbero accompagnarli sono o compiacenti al mainstream omosessualista o comunque lasciano il campo libero a qualunque conclusione.
Un po’ è il problema Agesci che ritorna e dal caso Staranzano al documento dei capi scout in poi è facile comprendere quale sia la deriva che buona parte del mondo scout ha preso, un po’ però è anche l’atteggiamento di quei parroci che lasciano fare con la scusa che, almeno questi ragazzi si stanno impegnando a intraprendere un cammino. Quale esso sia e soprattutto dove conduca non sembra interessare.
E’ questa la posizione del parroco di San Vitale, don Guido. Quando la Nuova BQ gli telefona per capire come siano andate le cose, il sacerdote bofonchia un po’: “E’ l’ennesima telefonata di protesta che ricevo per questa storia dell’opuscolo. Evidentemente c’è qualche parrocchiano cattivo che mette in giro queste notizie.
E guarda caso diffonde soltanto la parte relativa alle unioni gay e non quella ad esempio sui migranti.
I nostri ragazzi infatti hanno fatto un percorso con i migranti e se altri giovani che stanno a bighellonare tutto il giorno al bar perché sono dei leghisti avessero fatto anche solo la metà di quello che hanno fatto questi ragazzi, mi potrei ritenere soddisfatto, anche se sul tema degli omosessuali devono ancora crescere”.
Don Guido quindi rispedisce al mittente le accuse e rilancia la bontà dell’iniziativa giustificandola in sostanza come una sorta di percorso: “Stanno facendo un cammino. Nessuno di noi è santo e nessuno può atteggiarsi a giudice degli altri”.
Facciamo notare sommessamente che se il cammino porta a considerare le unioni civili con un “finalmente” forse il problema non è il camminare, ma la direzione.
Ma qui don Guido non ci sta e ribatte: “Come potete permettervi di giudicare? Non potete trarre conclusioni sul percorso di questi ragazzi che sono in strada, stanno maturando delle cose”.
A domanda precisa però il sacerdote è il primo a non sbilanciarsi sulla bontà di provvedimenti come le unioni civili.
Però a stagli a cuore è soprattutto il cammino. Verso dove? “Ci stiamo confrontando ancora – insiste -, devono crescere, ma pagano lo scotto di una mentalità e dovranno anche loro maturare.
Non sono perfetti. Però le posso assicurare che rispetto all’anno scorso quando è stato redatto questo opuscolo, l’opinione di questi ragazzi è mutata sennò non sarebbero potuti diventare educatore della parrocchia”.
Sarà. Ma se hanno cambiato idea, perché allora difendere a spada tratta l’opuscolo?
Insomma: sembra che il problema non sia più quello di indicare la verità sull’amore umano, una verità che la Chiesa ribadisce da 2000 anni e che nel condannare gli atti omosessuali si rifà ad un progetto creatore guarda caso assente da questa smania di confronto.
Forse bisognerebbe ricordare che i ragazzi potranno confrontarsi per tutto il tempo che vogliono, ma alla fine bisognerebbe che qualcuno indichi loro la verità di approdo, perché questa difficilmente può essere compresa con la semplice raccolta di esperienze.
E’ il dilagare dell’omoeresia in campo cattolico che ormai detta legge.
E negli ultimi tempi si sta diffondendo a macchia d’olio, come nuovo paradigma per affrontare una tematica sulla quale invece la Chiesa, predicando la castità e l’amicizia disinteressata, conduce già ad altri approdi.
In fondo, come già detto l’obiettivo è scardinare l’ultimo ostacolo rimasto, quel Catechismo della Chiesa cattolica che definisce l’omosessualità ancora un disordine.
E’ lui il vero nemico da abbattere. Infatti non solo nelle indagini parrocchiali non lo si tiene neppure più in conto, ma lo si cerca di demolire con iniziative tra le più svariate portate avanti da veri e propri “sacerdoti” votati alla causa omosessualista.
E qui, stando almeno agli ultimi casi, troviamo il solito Padre James Martin, gesuita, che a Los Angeles nei giorni scorsi ha parlato nell’ambito di una mobilitazione Lgbt cattolica che non ha mancato di definire i passaggi del Catechismo che trattano di omosessualità “malvagi”.