«I tedeschi censurano i social network per motivi razziali» di Lorenzo Formicola

fake-tedeschiIl primo ottobre 2017 è entrata in vigore una legge tedesca che dovrebbe migliorare l’applicazione del diritto nei social Network. Il testo di legge, in altre parole, nasce come antidoto ai ‘crimini d’odio’ e alle notizie false, oltre che una maniera per arginare il terrorismo online. Conosciuta come ‘Legge di Applicazione del Diritto nella Rete o NetzDG’, è stata rodata per mesi e l’1 gennaio 2018 ha assunto piena efficacia. 

Per la stampa internazionale è stata vista come una mossa audace da parte dei legislatori tedeschi, capaci di mitigare i problemi creati dalla nuova comunicazione. La legge, sulle prime, pare molto severa.

Le sanzioni minacciate sono pesanti: 50 milioni di euro di multa ai social network incapaci di rimuovere, in 24 ore, i contenuti giudicati “manifestamente” illegali. Ma il legislatore non ha inteso indicare il significato del ‘manifestamente’.

David Kaye, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione, ha scritto quasi subito una lettera aperta al governo tedesco, affermando che il divieto di diffusione di informazioni sulla base di “criteri vaghi e ambigui”, come “insulto” o “diffamazione”, è incompatibile con l’articolo 19 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici relativo alla libertà di espressione.

La nuova norma tedesca, infatti, introdurrebbe la censura sulle piattaforme social più importanti. Facebook, Twitter e YouTube hanno il dovere di rimuovere o bloccare qualsiasi reato, commesso in rete, per conto dello Stato tedesco.

I commenti offensivi, diffamanti o che incitano all’odio, a prescindere dal fatto che il contenuto sia accurato o meno, vanno cancellati e puniti nell’arco di una giornata.

Una censura di Stato bella e buona capace di assoggettare la libertà di espressione a prese di posizione arbitrarie di società che applicheranno le sanzioni, al di là dello stretto necessario, per non correre il rischio di essere a loro volta sanzionate.

D’altronde, quando i dipendenti delle società dei social media rappresentano la polizia del pensiero dello Stato, con ogni potere di delineare modi e confini del dibattito politico e culturale, decidendo chi e quando sarà autorizzato a parlare e che cosa dire, la libertà di espressione è un miraggio.

E forse è a essa stessa che si intende mirare. A poche settimane dall’entrata in vigore della legge, il tribunale distrettuale di Monaco di Baviera ha condannato a sei mesi – con sospensione della pena – il giornalista tedesco Michael Stürzenberger per aver pubblicato sul suo profilo Facebook una foto storica (1941) che immortalava la stretta di mano a Berlino tra un gerarca nazista e il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini.

Stürzenberger è stato accusato di “incitamento all’odio contro l’islam” e di “denigrare l’islam”, e la Corte lo ha ritenuto colpevole di “diffondere propaganda di organizzazioni anticostituzionali”.

Twitter ha invece esordito la sua campagna di censura sospendendo per 12 ore l’account di Beatrix von Storch, vicepresidente dell’AfD, che aveva osato riprendere la polizia di Colonia per un buon anno in arabo. “Che diavolo sta succedendo in questo Paese? Perché un sito ufficiale della polizia posta un tweet in arabo? Pensano di poter placare così le orde barbare di uomini musulmani che fanno stupri di gruppo?”, aveva postato la von Storch.

“Incitamento all’odio”, hanno replicato i nuovi censori.

Ma la faccenda non è finita là. La vice dell’AfD è stata anche denunciata dalla polizia e sempre per “incitamento all’odio”, punibile quindi ai sensi dell’articolo 130 del Codice penale tedesco.

E risulta piuttosto allarmante la facilità con la quale la polizia ha denunciato un esponente politico di punta dell’opposizione per tacitarla.

Nel frattempo una rivista satirica, Titanic, ha preso in giro il tweet della von Storch, ed è stata bloccata sui social.

Ma la polizia del pensiero di Twitter presa dalla foga ha trascurato il fatto che si facesse dell’ironia a proposito delle “orde barbare”.

Anche Martin Sichert, deputato dell’Afd, è stato censurato per aver violato gli “standard della comunità” perché in lungo posto su Facebook denunciava il modo i cui vengono trattate le donne in Afghanistan.

Si tratta dei casi più noti ed emblematici della nuova legge che sta oliando gl’ingranaggi, ma ad oggi non si contano i contenuti di “incitamento all’odio” rimossi sia da Twitter,  che da Facebook e YouTube.

E poco male se nel frattempo si organizzano convegni – dal titolo “il ruolo delle donne nella resistenza popolare palestinese” – che vedono figurate tra i relatori la terrorista araba Laila Khaled, leader del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Il FPLP è considerato un’organizzazione terroristica da Usa, Canada, Australia e dalla stessa Unione Europea.

È allarmante che la Germania, che riesce a malapena a stare al passo con le minacce del terrorismo e con l’ondata di crimini violenti degli immigrati, investa cospicue risorse per zittire la libertà di espressione dei propri cittadini sui social media.

Il Dipartimento federale di Giustizia ha pure affittato nuovi uffici a Bonn per ospitare una cinquantina di nuovi avvocati e funzionari per garantire l’attuazione della nuova normativa.

E intanto, quando vengono commessi crimini o attentati terroristici da migranti, la stampa continua ad etichettarli genericamente come ‘Südlender’, ovvero di persone del Sud. Ma non saranno razzisti questi tedeschi a prendersela con i meridionali in modo indiscriminato?

 
La Nuova Bussola Quotidiana