Vincono i 5 Stelle, vince la coalizione di centro-destra (ma soprattutto vince la Lega che supera e stacca Forza Italia), sconfitta storica per il Pd e dura lezione anche per Grasso e la Boldrini. Questi sono i dati più evidenti delle elezioni a Camera e Senato, che sommati però renderanno arduo creare una qualsiasi maggioranza di governo. Dando per scontate le dimissioni di Matteo Renzi, molto dipenderà dalla prossima leadership del Partito Democratico, l’unico ad avere i numeri per consentire il governo o con i grillini o con il centrodestra. Ancora più difficile immaginare altre soluzioni.
Ovviamente bisognerà aspettare la ripartizione definitiva dei seggi (non necessariamente coincidenti con il voto percentuale) per capire meglio la situazione, ma allo stato attuale appare difficile prevedere un qualsiasi governo che possa andare oltre un programma limitato che conduca presto a nuove elezioni.
Resta comunque il fatto che il voto ci regala un’immagine dell’Italia spaccata in due: la cartina della suddivisione dei collegi uninominali è impressionante: centro-nord compatto al centro-destra e sud monocolore 5stelle, con qualche chiazza qua e là per quel che resta del centrosinistra. Emilia, Toscana e Umbria non sono più colorate di rosso, un evento epocale.
Ma a dover interrogare – e preoccupare – è questa vittoria a valanga dei grillini in tutto il sud, che non si può liquidare con lo stereotipo del «Hanno votato il partito che promette di dare uno stipendio senza lavorare».
Non c’è dubbio che il Sud, già piagato da criminalità e corruzione, sta pagando il prezzo più alto della crisi anche grazie a una classe politica – di destra e di sinistra – rivelatasi menefreghista e incompetente: basti pensare allo scandalo dei fondi europei destinati a progetti di sviluppo, perduti per semplice negligenza.
Il problema è che il voto di protesta premia un partito che garantisce ancora più incompetenza con neo-deputati senza volto, che appaiono più che altro come pedine nelle mani di Grillo e Casaleggio e associati.
Quanto al voto cattolico, era scontata la sostanziale marginalità: peraltro con il Pd affonda il neo-clericalismo che trova nella CEI e in Avvenire i principali punti di riferimento; e questa è una buona notizia.
Quanto a coloro che vengono riduttivamente definiti pro-life e pro-family ci sarà da aspettare l’attribuzione definitiva dei seggi per capire quanti di coloro che si sono candidati nelle diverse formazioni del centro-destra siederanno nel prossimo Parlamento.
Per ora, la tendenza sembra quella di una difficoltà per i nomi più noti, ma qualche buon risultato fra coloro che sono il frutto di una presenza locale.
Quella che invece appare certa è la sonora bocciatura del Popolo della Famiglia, che è andato molto al di sotto delle aspettative. Aveva l’obiettivo di un milione di voti, aveva cominciato a parlare di successo a 800mila voti, ieri Mario Adinolfi sulla sua pagina Facebook si era già ridimensionato a 300mila, i risultati dicono che farà fatica a raggiungere i 200mila.
E nel suo collegio Mario Adinolfi ha preso lo 0,6% (non è arrivato neanche a 2mila voti) contro il 39 della Bonino e il 32 di Federico Iadicicco, candidatura sostenuta dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli.