Aperite portas, et ingrediatur gens iusta, custodiens veritatem. Vetus error abiit: servabis pacem; pacem, quia in te speravimus (Is 26, 2-3).
Ciò che consente al cristiano di attraversare le prove più dure è la certezza del trionfo finale della verità e del bene.
Lo sguardo profetico, al di là del tempo presente, scorge in anticipo il compimento dei piani divini. Nella Città di Dio le porte sono già spalancate all’ingresso del popolo giusto, quello che custodisce la verità, ovvero la crede e la osserva. Il profeta vede già realizzato ciò che quel popolo attende: il vecchio errore s’è dileguato e il Signore concede la pace – quella pace, tuttavia, di cui non può godere se non chi l’ha desiderata, attesa e preparata sperando attivamente in Lui e rendendosene degno con una fedeltà a tutta prova.
Qualsiasi errore è già vecchio nel suo stesso sorgere, in quanto frutto di un regresso alle opinioni umane e di una chiusura all’eterna novità della verità rivelata. L’unica eresia veramente originale è quella di Lutero, che in questo si distingue effettivamente dagli altri eresiarchi.
Essa non soltanto è all’origine dello storicismo, del soggettivismo e del relativismo moderni, ma distrugge pure il nocciolo della vita cristiana e, portata alle estreme conseguenze, scardina i misteri principali della fede, tanto l’unità e trinità di Dio che l’Incarnazione redentrice.
Altri sedicenti “riformatori”, invece, riprendono idee vecchissime rivestendole di un abito “cristiano” e rendendole così ancora più perniciose, come fa Calvino con la predestinazione: se l’Eterno concede la grazia solo agli eletti, tutti gli altri devono inevitabilmente peccare (e sono, in fin dei conti, scusati).
Sulla scia del frate rinnegato, nel vano tentativo di ricuperarlo, un teologo “cattolico” considerato – supremo inganno! – paladino dei conservatori è giunto a sostenere addirittura un conflitto tra le Persone divine: secondo Hars Urs von Balthasar, non sarebbe stato il povero Giuda a tradire Cristo, ma il Padre stesso, che lo avrebbe abbandonato alla condanna…
È molto peggio delle rozze sparate dell’inquilino di Santa Marta: è una bestemmia che attribuisce il male a Dio.
Altri pseudoteologi contemporanei (che sarebbero già caduti nell’oblio, se non fossero i manuali delle facoltà a riesumarli) arrivano a presentare l’uomo come un essere costitutivamente viziato e incline al peccato, al quale solo una divinità sadica, vera responsabile del male, può imporre norme morali assolute che non è in grado di osservare: di qui il proclama di un’epicheia universale e permanente, cioè di una totale e definitiva sospensione dell’etica.
Di nuovo, sotto il sole, ci sono soltanto assurdità del genere – sempre che non si tratti di reviviscenze del manicheismo.
Perfino la “nuova” Messa, strumento privilegiato della rivoluzione conciliare, era già vecchia quando fu illecitamente imposta, visto che non è altro che una riedizione della “messa” protestante di Lutero e di Cranmer.
Facendo astrazione dalla fondamentale opposizione tra sacrificio e riunione fraterna, secondo le icastiche osservazioni di due monaci tradizionali le differenze tra il vetus e il novus ordo si possono sintetizzare nel fatto che il primo è rivolto a Dio, il secondo all’uomo; il primo sostiene la fede, il secondo dev’essere sostenuto dalla fede; il primo – mi permetto di aggiungere – comunica al sacerdote i sentimenti di un sovrano invincibile che esce in battaglia con la certezza assoluta di riportare vittoria, il secondo ingenera in lui il disagio di un attore costretto a recitare una parte scadente e per nulla convincente.
Chi non ha la possibilità di frequentare la Messa di sempre, ovviamente, deve fare del suo meglio con ciò che è a sua disposizione: cerchi una celebrazione che sia per lo meno decorosa o, se non c’è altro, sopporti e offra con fede, guardando profeticamente alla fine dell’errore come a cosa già avvenuta.
Il Signore ricompensa largamente la pazienza umile, fiduciosa e perseverante; a volte, per incoraggiarci, ci fa persino pregustare per un istante il premio che ci tiene in serbo nella Sua città, le cui porte sono fin d’ora aperte alla contemplazione e all’amore.
Tante amarezze non potranno sommergerci, se il nostro cuore è fisso là dove c’è la vera pace, fondata sulla giustizia e sulla fedeltà (anzitutto quella di Dio verso di noi, ma anche, per Sua grazia, la nostra verso di Lui).
La nave della Chiesa, certo, sembra andare alla deriva, in mano a cattivi nocchieri che ne hanno preso i comandi per schiantarla sugli scogli del mondo facendo credere – come ho dovuto sentire con le mie stesse orecchie da due diversi penitenzieri pontifici – che le cose non siano mai andate meglio e che le nuove indicazioni per i divorziati risposati non contengano nulla di contrario alla dottrina.
D’accordo, ammettiamo pure che nelle istituzioni romane ci sia stato un totale ricambio di personale, come nelle peggiori dittature; ma almeno un po’ di pudore me lo aspettavo ancora, in anziani religiosi che fino a pochissimi anni fa davano una garanzia di ortodossia.
L’allineamento, comunque, non è completo, come dimostra il coraggioso manifesto dei movimenti per la vita, che rappresenta un’efficace forma di resistenza.
So bene, cari fratelli, quanto vorreste vedere i vostri sacerdoti uscire allo scoperto, ma non avete idea delle ritorsioni cui ci esporremmo, che ci neutralizzerebbero completamente.
D’altra parte (almeno finché non sarà inevitabile) non intendo cedere alla tentazione di pormi in una situazione irregolare: non è per codardia né per ossequio ai cattivi Pastori, ma per fedeltà alla costituzione divina della Chiesa e, quindi, per obbedienza a Dio.
Non si tratta di cavilli formali, ma di una questione fra le più sostanziali: essere membra vive della Chiesa visibile significa appartenere pienamente al Corpo mistico di Cristo e comunicare a tutti i beni soprannaturali che circolano al suo interno.
Se ci sono Pastori che, di fatto, ne sono separati dall’eterodossia o dalla disobbedienza a Colui che rappresentano, è un problema anzitutto per loro, ma questo non deve portarci a rifiutare il loro ruolo in se stesso: noi, continuando a riconoscere l’autorità apostolica (sebbene sia da alcuni detenuta in modo illegittimo), rimaniamo nel Corpo a tutti gli effetti.
La barca – come potete vedere nell’affresco sopra riprodotto – non è abbandonata a se stessa: al timone c’è san Pietro, a prua ci sono gli angeli e, al centro, la Madre del Signore. Stando tra le Sue braccia, il Bambino riconsegna le chiavi al Pescatore: anche questa è una profezia.
Quel potere che, in questo momento, nessuno esercita nel modo e per il fine stabiliti da Cristo sarà di nuovo trasmesso a qualcuno che, con l’aiuto della fede e della grazia, ne sia all’altezza.
Coraggio, dunque: il Cielo è con noi, seppure invisibilmente. La Madre di Dio e della Chiesa sta per intervenire. Non è Lei, ovviamente, a detenere il potere delle chiavi, ma è per Suo mezzo che il Figlio vuol conferirlo a un prediletto della Regina, a un apostolo degli ultimi tempi.
Rinunciamo a pronostici, messaggi e segreti (di cui c’è un’inflazione quanto meno sospetta) e lasciamo a Lei la scelta. Non ci è chiesto di prevedere i dettagli o di conoscere in anticipo quanto non è necessario alla nostra santificazione, ma solo di nutrire fede, speranza e carità – senza trascurare alcuna delle tre.
Rimaniamo con fiducia nella barca, respingendo ogni subdola tentazione di fabbricarci illusorie scialuppe: la Chiesa è una, quella di Cristo; non ce n’è una vera e una falsa, bensì l’unica Chiesa è in stato di occupazione.
Si avvicina però il momento in cui quanti ne sono a capo solo in apparenza, in quanto apostati o eretici, saranno buttati a mare, se non si saranno convertiti.
Per noi, invece, valga il luminoso auspicio di san Paolo: «La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù» (Fil 4, 7; leggere con calma tutto il capitolo). Auguro a tutti voi un Natale gioioso e benedetto.
N.B. A scanso di equivoci, il luogo in cui si trova l’affresco non è un indizio utile a individuarmi: ho visitato la chiesa, ma non sono fra i sacerdoti che la servono.