Forse è il clima pre-elettorale che induce alla propaganda. Fatto sta che in questi giorni il premier Gentiloni sprizza ottimismo da tutti i pori. Sembra che veda brioche dappertutto come la regina Maria Antonietta. A lui e allo stato maggiore del Pd sfugge il paese reale, che “non ha pane”, cioè fa fatica sui beni essenziali. Non vedono il vero stato di salute dell’Italia. Anzi – per restare in tema – si può dire che sfugge loro anche lo stato di salute degli italiani.
Perché quello della sanità è davvero uno dei “termometri”(è il caso di dirlo) più indicativi della crisi e della decadenza sociale in cui questo Paese sta precipitando da anni.
Secondo la prima edizione dell’“Osservatorio sul bilancio di welfare delle famiglie italiane” presentato nei giorni scorsi da Mbs Consulting, questi anni di forzata austerità europea sono andati a gravare sui servizi fondamentali della vita della gente inducendo il 36,1% delle famiglie a rinunciare ad almeno una prestazione essenziale (un dato che sale addirittura al 56,5% per le fasce sociali più deboli).
E’ soprattutto l’assistenza agli anziani e ai non autosufficienti che è stata penalizzata del 76,2%, ma anche le cure sanitarie (36,7% di rinuncia ad almeno un intervento, che per i più svantaggiati è il 58,9%).
Uno degli indicatori più inquietanti del naufragio di questi anni è proprio quello relativo alle cure sanitarie perché mette in gioco i beni vitali e la distruzione dello stato sociale: quando si arriva ad avere una massa di migliaia e migliaia di persone che – una volta che si ammalano – non hanno i soldi per curarsi e comprare medicine, nemmeno per un semplice mal di denti, si sta davvero scivolando verso il Terzo Mondo.
Eppure è proprio questo l’affresco sociale descritto l’altroieri dall’annuale “Rapporto 2017 – Donare per curare: Povertà sanitaria e Donazione Farmaci” del Banco farmaceutico: nell’anno 2017 ben 580 mila persone si sono trovate nella penosa condizione di dover chiedere aiuto anche solo per avere una pasticca per il mal di testa: è il 9,7 per cento in più rispetto al 2016 e il 27,4 per cento in più rispetto al 2013.
Ormai non si tratta di un fenomeno riguardante solo gli italiani che sono nella fascia della povertà, perché, pure fra coloro che sono al di sopra di questa fascia, il 10 per cento ha problemi a pagare il ticket per le visite mediche e gli esami e addirittura il 23 per cento, per motivi economici, non ha potuto acquistare dei farmaci di cui necessitava.
E’ significativo che questo 23 per cento sia composto al 42,1 per cento da persone che hanno più figli e da “lavoratori atipici” al 51,2 per cento.
Questo secondo dato ci mostra le conseguenze della precarietà, ma il primo ci dice che quanti fanno figli in Italia non solo non sono aiutati (come si dovrebbe, in quanto sostengono un peso economico che andrà domani a beneficio di tutti), ma sono addirittura penalizzati, dovendo “pagare” l’avere figli con la povertà e addirittura con la rinuncia a cure mediche. In un paese che è nel baratro demografico è un dato molto significativo.
Impressionante anche il fatto che i minorenni che vengono assistiti da enti “no profit” per i farmaci siano il 21,6 per cento e siano in aumento (più 4,5 per cento gli italiani e più 1,5 per cento gli stranieri).
Il problema generale – che indica lo sfascio del welfare – è che aumenta ogni anno la percentuale della spesa farmaceutica che è totalmente a carico delle famiglie: siamo al 37 per cento nel 2017, significa più di 8 miliardi.
Questo spiega perché 13 milioni di italiani nel 2017 si sono negati alcune visite specialistiche – un milione in più rispetto al 2014 – e spiega perché un terzo degli italiani nel 2017 ha dovuto rinunciare a curarsi almeno una volta.
Alla radice di tutto ci sono i tagli agli stanziamenti pubblici sulla sanità. Per quanto sia meritorio il lavoro del Banco Farmaceutico e di tutto il Terzo settore, per alleviare tante sofferenze sociali, il problema resta molto più grande e riguarda le scelte di fondo del governo.
Carlo Di Foggia sul “Fatto quotidiano” ha tracciato il quadro davvero allarmante della spesa sanitaria italiana dovuta ai cosiddetti vincoli europei e alla gestione a guida Pd: “La stretta fiscale avviata dal governo di Mario Montie poi rinnovata da quelli Letta e Renzi a carico delle Regioni si è tradotta in un definanziamento del Servizio sanitario che non ha eguali in Europa, eccezion fatta per Grecia e Portogallo. Tra il 2010 e il 2014 – dati della Corte dei Conti – al Ssn sono stati tolti 14,5 miliardi, altri 10,5 se ne andranno nel 2015-2018”.
E per il futuro addirittura “il governo prevede che la spesa sanitaria cali dal 6,6% del Pil del 2017 al 6,3 del 2020 (sotto la soglia minima dell’Oms)”.
Insomma, stiamo scivolando verso il Terzo Mondo. Ecco perché quando – in questi giorni – il premier Gentiloni ha trionfalmente affermato che “non siamo più il fanalino di coda dell’Europa”, nella rete qualcuno gli ha risposto: “Infatti siamo diventati le luci di posizione del Nord Africa”.
Ancora una volta il peccato originale che non si vuol vedere e non si vuole ammettere (altrimenti questa classe di governo dovrebbe dichiarare di aver sbagliato tutto e andare a casa), sta nelle grandi scelte strategiche, cioè l’accettazione dei devastanti vincoli europei e la rinuncia alla sovranità monetaria, economica e politica, che ci ha economicamente e socialmente prostrati.
Antonio Socci
Da “Libero”, 19 novembre 2017
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