In una parrocchia del quartiere genovese della Foce chi entra nel tempio trova al posto degli annunci sacri un paginone del quotidiano Avvenire pieno di fotografie di bambini di tutte le razze. Sono, dice la didascalia del giornale dei vescovi, gli italiani che non hanno ancora la cittadinanza. Propaganda politica sfacciata per lo ius soli. Su alcuni fogli di lettura distribuiti nel mese di ottobre in diverse chiese campeggia la figura di Martin Lutero.
Ci auguriamo che le convinzioni in materia di cittadinanza non siano ancora oggetto di una nuova dogmatica, anche se qualche sacerdote incauto ha già sostenuto che è “contro il Vangelo” chi non è schierato per l’accoglienza indiscriminata degli stranieri.
Più grave ci sembra l’enfasi positiva, la riscoperta entusiasta di Martin Lutero, il padre del protestantesimo. Il solito monsignor Galantino è arrivato ad affermare che l’opera dell’uomo di Wittenberg fu “un dono dello Spirito”.
Poiché è scritto con la maiuscola, deduciamo che intendesse lo Spirito Santo, ex terza persona della Trinità, ex Paraclito (consolatore), disceso nella Pentecoste su Maria e gli Apostoli a suggellare la fondazione della chiesa di Gesù nella sua natura veritativa e apostolica.
Dunque, per cinque secoli la Chiesa cattolica, a proposito della quale la particella “ex” sembra l’unica in grado di spiegarne la deriva, ha considerato eretico, nemico, impostore qualcuno che in realtà oggi, illuminati da una conoscenza più ampia, riconosciamo come un dono di Dio.
Contrordine, compagni! come nelle vignette di Giovannino Guareschi che deridevano la credulità dei comunisti del suo tempo, quelli dell’obbedienza, cieca, pronta, assoluta.
Siamo troppo ignoranti della dottrina, troppo lontani dalle sottigliezze clericali: confessiamo di non saper rispondere a tono al dotto arcivescovo calabrese.
Peraltro, conterraneo di Gioacchino da Fiore, secondo Dante “di spirito profetico dotato”, banditore di una millenaristica era dello Spirito Santo, il cui centro fu l’idea in cui a ogni persona della Trinità corrisponde un evo storico: così al Padre corrisponde l’epoca precedente la venuta di Cristo e il Vecchio Testamento; al Figlio l’epoca di Cristo e della Chiesa con il Nuovo Testamento; allo Spirito Santo un tempo futuro ma forse già presente, l’età dello Spirito.
Di questo Spirito è evidentemente parte Martin Lutero. Doctores tiene la Iglesia, recita un proverbio castigliano, dottori e sapienti ha la Chiesa, chi siamo noi per opporci a Nunzio Galantino?
Epperò, a forza di contrordini, di precisazioni, modernizzazioni, mutamenti di tono, nuove liturgie, maquillage e rincorse affannose per farsi accettare nell’Occidente contemporaneo, fughe in avanti (avanti?) che cosa è rimasto della fede cattolica?
Dopo aver scambiato “un segno di pace” e, per i più osservanti, aver ricevuto la particola (il Corpo di Cristo!) direttamente in mano e non sempre da un consacrato, la Messa è finita. Andate in pace, invita benedicente la voce del prete.
Il fatto è che perfino sulle parole non ci si intende più. Vi lascio la pace, vi do la mia pace, disse nel vangelo di Giovanni il fondatore (lo chiamiamo così per brevità, giacché pare ormai dubbio anche ai consacrati che Gesù fosse il figlio di Dio). Aggiunse tuttavia “non come la dà il mondo la do a voi”.
Qui il dente duole, poiché il problema del cattolicesimo sembra essere un penoso senso di inferiorità rispetto al “mondo”, l’incubo di non essere al passo con i tempi, di affermare, proclamare, credere qualcosa che il tempo presente e l’uomo occidentale contemporaneo non solo non riesce a credere, ma neppure ascoltare.
André Frossard, scrittore e giornalista francese protagonista di una profonda conversione ed autore di un libro oggi pressoché dimenticato, Dio esiste, io l’ho incontrato, scrisse: “Sì. Il Cristianesimo è morto in molti sensi, ma si è dovuto attendere il secolo XX per vederlo morire di paura. Di paura davanti al mondo. Il mondo vuole un cristianesimo smorto e pusillanime, ansioso di ottenere diritto di cittadinanza in una società che lo disprezza”.
Il secolo XXI sembra quello che rilascia il certificato ufficiale di morte, con tutti i timbri in regola, valido per rivendicare l’eredità materiale, che in Italia significa agevolazioni fiscali, otto per mille, sovvenzioni, partecipazione remunerata alle attività umanitarie e di mutuo soccorso, celebrazione di funerali e gentile invito alle cerimonie pubbliche.
Un’agenzia tra le tante, quella più antica, una ONLUS per sovvenire urgenze umane, che non proclama più alcuna verità, questa parola così poco moderna, per nulla pluralista, tanto meno multiculturale.
In quest’ottica, si comprendono assai bene interventi che in altre stagioni sarebbero stati tacciati di scandalo.
Lutero può dunque essere un dono dello spirito come padre del soggettivismo e nemico della Chiesa-istituzione, e diventano allora normali passaggi simbolici di un mutamento di paradigma le parole pronunciate dal superiore dei gesuiti Arturo Sosa Abascal circa la veridicità del racconto evangelico (non c’erano le telecamere, al tempo di Gesù!) e quelle, altrettanto sconcertanti del cardinale Ravasi. “Io ritengo che [Gesù] fosse un abile guaritore, ma certi miracoli sulla natura, come camminare sulle acque, devono essere stati adattamenti degli evangelisti tratti dalle profezie bibliche”. Riflessi di un passato magico, anzi, nel linguaggio della sociologia, credenze ingenue.
Forse non aveva tutti i torti, dopotutto, Lutero, a diffidare della ragione, che riteneva sempre nemica della fede, se l’affanno di scoprire tutto sul Gesù storico rende i biblisti degli increduli per mancanza di prove!
L’attuale titolare del soglio di Pietro, poi, mette in guardia da un rapporto troppo stretto, diretto con Dio: singolare presa di posizione, da interpretare, paradossalmente, come un’estrema difesa cattolica dallo stesso Lutero (sola scriptura, sola fide) o più semplicemente il timore che quel che resta del popolo di Dio smetta definitivamente di credere ai suoi pastori e si rivolga, ultima ratio, direttamente al Padre.
Del resto, se Lutero aveva ragione – gli viene riconosciuta dopo mezzo millennio- se anche l’Illuminismo non aveva tutti i torti, e qui il ritardo sarebbe di solo di due secoli e mezzo, perché credere ancora alle ragioni cattoliche, revocate una dopo l’altra? Domani, o dopodomani, cederanno il passo a quelle dei tempi, a nuovi états d’esprit, come Guénon chiamava le idee che preannunciano i grandi cambiamenti culturali.
La Chiesa è sul mercato, ed i suoi rappresentanti tentano dunque di raggiungere i segmenti più vari della mutevole opinione pubblica.
Don Gallo affermava di credere nel vangelo di De Andrè. Perché no, in fin dei conti le opere del cantautore ligure non hanno bisogno di fede e, per tranquillità del cardinale Ravasi, tutto è chiaro e dimostrabile.
Libera è l’interpretazione, anche i Vangeli una volta detti apocrifi sono accolti nella nuova narrazione. Avanti, c’è posto.
Tutto assomiglia ad una banalizzazione postmoderna del deismo del XVIII e XIX secolo, di matrice massonica.
Dio esiste da qualche parte, è l’Architetto dell’universo, ma si disinteressa della sua creatura, dunque sta a noi farne ciò che più ci aggrada.
Povero Agostino, con la sua Città di Dio distinta dalla Città dell’Uomo.
E povero il buon Giacomino da Verona, l’ingenuo frate medievale autore di De Babilonia Civitate Infernali e De Ierusalem civitate celesti.
Anche la Massoneria, dunque, ha ragione, a gloria del Grande Architetto dell’Universo?
Tornano sinistramente a galla figure come quelle del gesuita tedesco Augustin Bea, impegnato ad annullare la distanza tra cristianesimo ed ebraismo.
Qualcuno dei suoi accusò gli evangelisti di antisemitismo, un altro giunse ad affermare nella cattedrale di New York “noi non leggiamo più le numerose dichiarazioni di Gesù Cristo contro il suo popolo contenute nel Vangelo “.
Dunque, almeno in parte, esso non è “parola di Dio” ed il popolo di Gesù non è l’umanità intera, ma la tribù israelita in cui nacque.
Nulla di strano, peraltro, se guardiamo a queste idee nell’ottica di teologi luterani come Bultmann e Harnack, impegnati sin dagli anni 30 del secolo passato a “demitizzare” i Vangeli, espungendo o privando di valore ogni elemento in qualche modo soprannaturale, dunque sgradito all’uomo moderno. Il nuovo evangelismo diventava così l’esaltazione della figura di Gesù uomo storico, tracimando velocemente in ambito cattolico.
I teologi si sono trasformati così in periti settori, autori di vere e proprie autopsie della Scrittura.
Le autopsie però si eseguono sui cadaveri, e la stessa lettura del Vangelo si è convertita in un’antologia, un florilegio di prose scelte dalle quali eliminare tutto ciò che crea fastidio alle delicate orecchie contemporanee.
Il resto è ermeneutica, ossia interpretazione. Lutero vince su tutta la linea, anche se ai tempi supplementari, e non sono pochi coloro che tendono ad attribuire alle scritture un semplice significato morale.
A quel punto, lo stesso clero, oltre l’ammirazione per Gesù, finisce col diffondere stancamente, dal pulpito e nella pratica quotidiana, una religione in cui non crede più, con tutte le conseguenze del caso.
Tutt’al più, il cristianesimo resta una visione del mondo, depurata anche da una morale propria, poiché i “principi non negoziabili” sono stati messi da parte insieme con il loro ultimo difensore, Benedetto XVI.
Una prova è il disimpegno della Chiesa, in Italia ed altrove, sul fronte dell’ideologia omosessualista e rispetto a enormi questioni bioetiche come il cosiddetto “fine vita”, sino al fastidio ed all’aperto osteggiamento dei credenti che non hanno abbandonato quelle trincee.
Gesù stesso, infine, può essere facilmente indicato – e presentato all’incredulo mondo moderno- come un profeta, ovvero, a scelta, come un rivoluzionario, un agitatore sociale, un innovatore, dimenticando le sue stesse parole secondo le quali il suo regno non è di questo mondo. Resta da valutare che cosa se ne faccia il mondo di un profeta tra i tanti, di un potente guaritore dotato di poteri paranormali (Ravasi dixit…).
Per chi si attende ristoro etico e tranquillità dell’animo, ci sono Buddha e gli altri grandi orientali, mentre il supermercato della fede offre oggi prodotti spirituali (ci venga perdonato il linguaggio commerciale) al passo con i tempi e per tutti i gusti.
C’è sempre il sincretismo liquido e rassicurante della “new age”, tanto adatta al Nuovo Ordine Mondiale. Siamo entrati, dicono, nell’Età dell’Acquario, che sostituisce la precedente, posta “sotto il segno dei Pesci, il segno dell’era cristiana, il mito temporale all’interno del quale ricaviamo il nostro orientamento storico”, come rilevò James Hillman, uno degli intellettuali alfieri di questo spurio e falso spiritualismo.
I meno giovani ricorderanno il famoso musical americano Jesus Christ Superstar, del 1973. L’opera narra la vita di un Gesù umano, troppo umano ed impaurito, mentre il vero deus ex machina dell’azione è Giuda, freddo, razionale, non un traditore, ma colui che compie un destino predeterminato.
Con lui Maddalena, innamorata e la madre Maria, un po’ defilata. Nessun miracolo da parte di Gesù, la cui dimensione trascendente non viene neppure sfiorata.
Significativamente, il brano musicale simbolo del musical fu Age of Acquarius, l’età dell’Acquario. Molti credenti rimasero affascinati e conquistati dai messaggi di Jesus Christ Superstar, ma sarebbe bastato ricordare il significato astrologico-esoterico dell’età dell’Acquario per spegnere ogni entusiasmo.
New Age, come riferisce Gianluca Marletta nel prezioso volume Governo globale, è anche il titolo della rivista ufficiale americana del Supremo Consiglio del Rito Massonico Scozzese Antico ed Accettato.
Il panorama è sconfortante. Si diffonde un senso di solitudine, di sgomento per una fine annunciata e diremmo accettata come inevitabile, una Fortezza Bastiani ormai espugnata perché erosa dall’interno.
Solo la fede può aiutare, quella che si regge sull’agostiniano Credo ut intelligam, et intelligo, ut credam: credo per comprendere, e capisco affinché possa credere.
Neanche nei peggiori incubi avremmo immaginato che un arcivescovo come Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, si sciogliesse in un accorato elogio di Marco Pannella, asserendo che il capo radicale, protagonista di tutte le battaglie anticristiane e contro la vita degli ultimi sessant’anni “ha speso la sua vita in particolare per gli ultimi”, ha lottato “per la difesa della dignità di tutti”.
Paglia si è spinto sino ad auspicare che lo spirito di “Marco” resti “ancora vivo e ispiratore di una vita più bella non solo per l’Italia, ma per questo nostro mondo.”
Ognuno valuti secondo coscienza, come le parole di Bergoglio che considera Emma Bonino, madre superiora dell’abortismo e della cultura della morte, una grande italiana.
Di recente, il vescovo di Modena ha diramato una circolare in cui si vieta di dare voce a quelli che definisce nemici della “Chiesa di Francesco”, riconoscendo implicitamente che la Chiesa non è di Gesù Cristo, ma solo la proiezione del suo vicario pro tempore.
Intanto, è sempre più vero che il nostro tempo, come capì Chesterton, dimenticato Dio, è ogni giorno più disposto a credere a qualsiasi cosa, come dimostra l’abbondanza di maghi, sedicenti maestri spirituali, sette, santoni, fattucchieri di ogni genere, sino alle numerose trasmissioni frequentate da astrologi sulle principali reti televisive, personaggi generalmente abbigliati in maniera bizzarra, dai toni oracolari e spesso dall’ aspetto di ostentata ambiguità sessuale.
Ma tutto si tiene, e chi siamo noi per giudicare, se dobbiamo prendere alla lettera Lutero, il nuovo “dono dello Spirito” che scrisse al suo amico ed esegeta Melantone “il Vangelo non ci dice che cosa dobbiamo fare. Esso non esige niente da noi. Il Vangelo dice semplicemente credi e sarai salvato”.
Dunque, non ci sono principi, più o meno negoziabili, e neppure sacramenti, e, ad essere conseguenti, è cancellato anche il peccato, poiché basta manipolare Agostino e concludere “pecca fortemente, ma più fortemente rallegrati in Cristo.”
Musica per le orecchie dell’individualismo che egli stesso contribuì a fondare, ma deserto morale e spirituale che non può essere colmato da un cristianesimo secolarizzato, alla carta come il menù del ristorante, rinunciatario e, perché non dirlo, incredulo dell’essenziale.
C’è di più, ed è la constatazione che un cristianesimo di tal fatta non funziona neppure come succedaneo, concorrente o surrogato della mentalità dominante.
Non vi è infatti motivo alcuno che l’uomo medio, liquido, consumista, drogato di un’idea volgare di libertà come assenza di vincoli e responsabilità preferisca il neo cristianesimo ai materialismi in voga, più invitanti, più liberali, corrivi, tagliati a puntino per un soggettivismo estremo in cui Dio è l’uomo.
Basterebbe l’Abc del marketing per confermare che l’originale è sempre preferito alla sua imitazione, anzi, per usare il linguaggio industriale, alla sua contraffazione ingenua e fuori tempo massimo. Tanto più in un tempo in cui conta l’immagine, il marchio, la griffe, il brand.
Ma la Chiesa non crede più al proprio, di marchio, che pure ha duemila anni, ha improntato civiltà intere e risposto alle domande di verità e senso di interi popoli per generazioni. La messa è finita?