C’è da rimanere seriamente colpiti per l’innamoramento che, da qualche tempo, nella Chiesa cattolica si manifesta nei confronti di Martin Lutero, figura la cui riabilitazione è opportuna – si dice – perché le «sue intenzioni erano buone». «Buone» in che senso? E’ lecito chiederselo dal momento che, a rileggere i suoi scritti, si rimane colpiti da un odio che risuona, in più passaggi, incontenibile.
Penso a quando il Rivoluzionario spacciato per riformatore definì dei teologi a lui avversi «asini grossolani, delle scrofe maledette, dei sacchi di bestemmie, dei porci epicurei, eretici e idolatri, delle pozze marcie, la brodaglia maledetta dell’inferno» o a quando – sempre colui che avrebbe avuto «intenzioni buone» – riferendosi a un bambino ritardato mentale, lo apostrofò come solo «una massa di carne, nella quale non» alberga «alcuna anima se non, forse, il diavolo»; al punto che se solo ne avessi il potere – spiegava sempre Lutero ai suoi uditori, rincarando la dose – «annegherei di persona il bambino nel fiume».
Significativo è risultato poi l’odio che il predicatore tedesco nutriva per Roma, per il papa e verso gli stessi ebrei, caldeggiando la distruzione delle sinagoghe e delle loro stesse abitazioni, come risulta dal testo Su gli Ebrei e le loro menzogne.
Non è un caso che, prima del foglietto della Messa domenicale di qualche settimana fa, fosse un certo Adolf Hitler a magnificare colui che definiva, facendone ristampare gli scritti, Hercules Germanicus e Propheta Germaniae.
Né pare essere casuale – alla faccia sempre delle «intenzioni buone» – che l’ascesa nazionalsocialista sia stata facilitata assai dal pensiero luterano, se si considera che nella Prussia protestante il consenso hitleriano arrivò all’80%, mentre nella Baviera cattolica non superò il 19%.
A dirla tutta l’odio del monaco ribelle risuonava pure contro gli omosessuali, tanto che nella luterana Germania l’omosessualità è risultata reato perseguibile fino al giugno del 1994, mentre nella cattolica Italia la sua depenalizzazione risale al 1889.
Da ultimo, non va dimenticata l’ira incontenibile – anzi, l’incitazione allo sterminio – che Lutero riservava ai contadini del suo tempo, in ribellione contro e l’avidità dei signori feudali e dei principi: «Verso i contadini testardi, caparbi, e accecati, che non vogliono sentir ragione, nessuno abbia un po’ di compassione, ma percuota, ferisca, sgozzi, uccida come fossero cani arrabbiati» (Scritti politici, Utet, Torino 1978).
Queste, si badi, non sono le conseguenze, ma proprio le «intenzioni buone» che Lutero aveva e solennemente affermava. Ragion per cui, anche preferendo l’ottica ecclesiale a quella storica, riesce difficile non guardare al padre della Rivoluzione protestante se non come – per usare le sue stesse, precise parole – a «un grande mascalzone e omicida».
Dunque non si esagera se si guarda a costui come a un sinistro figuro che ha fatto dell’odio, purtroppo con effetti conseguenti, una vera e propria ragione di vita. Come si possa rivalutare una figura simile, per di più in casa cattolica, è quindi un enorme mistero.
Fonte: il blog di Giuliano Guzzo