In un articolo da poco apparso su Una Vox – ma che parrebbe scritto nel 2015, a giudicare da un riferimento temporale ivi contenuto – don Francesco Cupello critica la tesi di Antonio Socci sull’invalidità dell’elezione di Bergoglio sia per mancanza di prove, sia dal punto di vista giuridico: a suo dire, infatti, anche a voler dare per dimostrata la presenza dell’ormai celebre scheda in più, l’invalidità dipenderebbe dall’incidenza della scheda sul risultato dello scrutinio.
L’Autore non mi è altrimenti noto, certo per mia mancanza, ma temo proprio che questa tesi riveli scarsa dimestichezza con le norme che regolano le elezioni canoniche.
Intanto, il n. 76 della Universi Dominici Gregis dichiara nulla l’elezione che sia avvenuta in maniera difforme da quanto stabilito nelle norme di procedura, senza ulteriori distinguo; inoltre, il can. 173 §3 commina la nullità a tutte le votazioni, se il numero delle schede è superiore a quello degli elettori, e UDG 68 estende la regola al caso inverso, mentre il n. 69 fa salve le due schede attaccate.
In nessun caso e da nessuna parte si trova la minima traccia di un distinguo secondo il risultato della votazione. Men che meno, potrei aggiungere, di un distinguo che guardi al margine dei voti con cui Bergoglio sarebbe stato eletto, dato che, a tacer d’altro, UDG 69 stabilisce con precisione quando le due schede attaccate corrispondano ad un voto valido e quando no.
Ma non è tutto, purtroppo.
In effetti, credo che un vizio di fondo soggiaccia a tutto il ragionamento dell’Autore: sembra che egli pensi che i Cardinali godano di poteri discrezionali, che possano annullare una votazione per semplice prudenza o sanare un vizio di procedura non facendolo valere.
Nulla del genere. Non ad normam iuris, quantomeno.
La Universi Dominici Gregis prevede, con tutta la chiarezza desiderabile, che neppure il Sacro Collegio nel suo complesso ha il potere di derogarvi in alcun modo, né di modificarla, né di dispensare dalla sua osservanza (UDG 4). Men che meno può rendere nullo un voto che secondo la legge è valido: questo è il primo punto della tesi di Socci, che l’Autore finisce per ignorare.
Sempre per questa ragione, la mancanza di obiezioni da parte dei Cardinali elettori non può sanare un eventuale vizio di procedura: la materia è sottratta alla loro disponibilità. Le cose potrebbero stare diversamente, semmai, per un vizio del consenso, determinato da timore, violenza o dolo esercitati sul corpo elettorale.
Completamente fuori luogo, invece, il parallelo con la simonia: l’elezione simoniaca del Papa (Dio ce ne scampi!) è valida proprio e solo perché una norma speciale così dispone, la regola generale commina una sacrosanta nullità a questo genere di nomine: cfr. il can. 149 §3.
E’ giusto e comprensibile che l’Autore si mostri preoccupato delle conseguenze che potrebbe avere l’invalidità dell’elezione; ma se questa preoccupazione gli fa onore, deve comunque cedere il passo al disposto della legge, secondo cui l’elezione nulla non attribuisce nessun diritto all’eletto (UDG 76).
E’ quanto dire che egli non può in alcun modo diventare vero Papa, senza una nuova elezione.
Nei secoli passati, la legislazione lo ricopriva addirittura di insulti – “Is non Apostolicus, sed Apostaticus habeatur” – e riteneva scismatici coloro che gli prestassero obbedienza.
Non è il caso di arrivare a tanto; ma il semplice possesso, anche se continuato, in diritto canonico non rende mai titolari legittimi neppure della più umile parrocchietta, figuriamoci del Pontificato.
L’Autore si chiede, credo non retoricamente ma per preoccupazione sincera: “cosa si dovrebbe fare adesso a quasi due anni di pontificato di Bergoglio? Annullare tutte le decisioni da lui prese in quanto invalidamente eletto? E come si dovrebbe procedere? Chi dovrebbe e come stabilire che ha ragione Socci? Chi dovrebbe dichiarare l’invalidità dell’elezione di Bergoglio? Chi dovrebbe andare dal Papa a dirgli di dimettersi? E se si rifiutasse? E se il Collegio cardinalizio si dividesse tra fautori della validità e sostenitori dell’invalidità?”.
Prima di tutto, credo sia evidente che nessuno dovrebbe “andare dal Papa a dirgli di dimettersi”: chi non è Papa non può dimettersi da alcunché e, comunque, la rinuncia può solo essere libera.
Invece, se Bergoglio non è mai stato validamente eletto, la Sede è vacante dal 28 febbraio 2013; il Cardinale Decano deve convocare gli elettori. Tutti coloro che erano elettori a tale data e, secondo me, anche i Cardinali creati dall’intruso, perché le nomine ricadrebbero nella supplenza di giurisdizione ex can. 144 (secondo Wernz-Vidal, l’istituto non si applica al Pontefice invalidamente eletto, ma l’opinione comune mi pare favorevole).
Ma, si dirà, qui c’è un dubbio di fatto: come sono veramente andate le cose?
A tal proposito, occorre rendere di pubblico dominio la relazione sull’andamento del Conclave, che viene redatta non appena esso ha termine e che costituisce il solo documento ufficiale al riguardo. Lì dovrebbe risultare il fatto della votazione annullata e il suo motivo.
E’ vero che, secondo la Universi Dominici Gregis, n. 71, solo il Papa può consentire di leggerla; ma qui vige il principio Papa dubius, Papa nullus.
Quel documento è indispensabile proprio per stabilire se Bergoglio sia Pontefice, quindi egli non potrebbe impedire al Sacro Collegio di prenderne cognizione e nemmeno di divulgarlo.
Del resto, delle due l’una: se la tesi di Socci ne esce confermata, tutti i fedeli debbono esserne avvertiti; e se ne esce smentita, è perlomeno opportuno rassicurarli. Credo che lo stesso Socci ne sarebbe felice.
Una volta appurato il fatto, resta da stabilire se esso renda nulla l’elezione. Ciò compete al Sacro Collegio nel suo complesso, non ai soli elettori, che deve pronunziarsi a maggioranza dei due terzi più uno, la stessa richiesta per l’elezione (cfr., a contrario, UDG 5).
Il che risolve anche il problema delle divisioni tra i Cardinali.
Spero che sia chiaro che il giudizio non può e non deve riguardare la persona di Bergoglio e nemmeno le scelte da lui compiute in veste bianca: su questo, penso che io e l’Autore ci troveremmo concordi.
Un’eventuale rielezione di Bergoglio sarebbe perfettamente lecita e possibile anche all’indomani della dichiarazione di nullità. Forse non auspicabile o non probabile; ma lecita e possibile.
Infine: che fare con le decisioni da lui adottate?
Le nomine sono già salve in virtù del can. 144; su tutto il resto, deciderà il successore cosa confermare, fermo che si parte dalla nullità. I soli inconvenienti pratici potrebbero riguardare la materia dei processi di nullità matrimoniale; ma, ovviamente, il nuovo Pontefice avrebbe mille modi per ovviarvi (norme transitorie, ratifiche…).
Del resto, dopo il Grande Scisma la Chiesa è riuscita a venire a capo di quarant’anni di provvedimenti adottati da antipapi, direi che c’è di peggio.
Fonte: Una Vox