Dopo la pubblicazione dei cinque “dubia” (dubbi) avanzati da quattro cardinali al papa e relativi all’esortazione apostolica Amoris Laetita, uno di loro è intervenuto per sottolineare come la decisione grave, ma comunque ammessa dal diritto canonico, presa con sincero spirito filiale e amore alla Chiesa, deve essere vista come “un atto di carità, unità e preoccupazione pastorale, invece che come un’azione politica”.
Sono le parole del National Chatolic Register che ieri ha intervistato il cardinale Raymond Burke, patrono del Sovrano militare ordine di Malta.
“Sua Eminenza, cosa pensa di ottenere con questa iniziativa?”, gli ha domandato il giornalista Edward Pentin. “Solo una cosa – ha replicato il cardinale – ossia il bene della Chiesa.
Ce ne sono molti altri certamente, ma questi cinque punti critici hanno a che fare con i princìpi morali immutabili.
Perciò noi, come cardinali, abbiamo giudicato nostra responsabilità a richiedere un chiarimento relativo a tali questioni, in modo da porre fine a questa confusione dilagante che sta di fatto guidando le persone nell’errore”.
La mancanza di verità, infatti, sta producendo lacerazioni enormi. Basti pensare, ha proseguito Burke, che “i preti sono divisi fra loro, i preti dai vescovi, i vescovi fra loro. E’ in atto una divisione tremenda”.
L’ambiguità di fondo è contenuta nel capitolo ottavo dell’A.L., per cui ci sono direttive di alcune diocesi secondo cui i preti in confessionale possono, “se lo ritengono necessario, permettere a una persona che vive un’unione adultera, e che continua a viverla, di accedere ai sacramenti, mentre in altre diocesi, in accordo a quella che è sempre stata la pratica della Chiesa, un prete può dare questo permesso solo a chi prende il fermo proposito di pentimento e di vivere castamente”.
Poi ha ricordato cosa dice il Vangelo sull’adulterio, per cui il matrimonio sarebbe messo in pericolo dalla prima prassi, la quale, se ammessa, nega o l’indissolubilità o il fatto che la Comunione è davvero il corpo di Cristo.
Inoltre il punto non concerne solo la comunione ai divorziati, bensì l’esistenza di norme morali immutabili e di un male intrinseco e oggettivo di una determinata azione.
Perciò, a chi giudica politica l’azione dei cardinali, Burke ha ribadito rincarando che la risposta a questi dubbi deve essere pubblica perché molte persone dicono: “Siamo confuse e non capiamo perché i cardinali o qualche autorità non interviene per aiutarci”.
E ancora: “Posso assicurare che conosco tutti i cardinali coinvolti e che questa decisione è stato intrapresa con il più grande senso di responsabilità come vescovi e cardinali.
Ma è anche stata intrapresa con il massimo rispetto per il ministero petrino”. Infatti, riguardo all’idea del papa come un rivoluzionario che deve cambiare la Chiesa il cardinale ha chiarito che non è questa la funzione di Pietro, ma quella di difendere la dottrina servendo le verità di fede, così come sono state tramandate dalla Chiesa fin dai primi tempi.
A questo punto Pentin si è chiesto cosa possono fare da soli quattro cardinali e la risposta è stata: “La questione è la verità. Nel processo di san Tommaso Moro qualcuno gli ha detto che molti dei vescovi inglesi avevano accettato l’ordine del re e lui ha replicato che poteva anche essere vero, però il santo in cielo non accettò (…) anche fossimo stati uno, due o tre, se si tratta di una questione di verità essenziale alla salvezza delle anime, allora dove essere detta”.
Il giornalista ha incalzato domandando a Burke chi bisogna seguire in caso di conflitto sulla verità della tradizione: la tradizione o l’autorità? Il cardinale ha risposto che “ciò che vincola è la tradizione. L’autorità della Chiesa esiste solo per servire la tradizione.
Penso al passo di san Paolo nella lettera Galati (1, 8): “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema”.
Perciò, nel caso in cui un papa dicesse un’eresia, sarebbe “un dovere, come già accaduto storicamente, dei cardinali e dei vescovi chiarire che il papa sta insegnando una cosa errata e chiedergli di correggerla”.
Insiste Pentin: e se il Papa non rispondesse ai dubbi esposti? “Esiste, nella tradizione della Chiesa, la pratica della correzione del pontefice romano. Si tratta di qualcosa di molto raro ovviamente. Ma se non ci ricevessimo risposta ai dubbi, allora direi che dovremmo correggere con un atto formale un errore grave”, ha concluso il porporato.
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana