Il cardinale Christoph Schönborn e l’esplicito invito al sacrilegio – di Paolo Deotto

Christoph_SchonbornL’argomento “astuto” con cui le anime belle (chiamiamole così per delicatezza…) hanno fin qui giustificato le incredibili affermazioni contenute nella Amoris Laetitiae era questo: A.L. non è magistero, è “l’opinione” del Pontefice sulla famiglia. Affermazione grottesca, è chiaro, e in ogni caso contraddittoria, perché è ben singolare che un Pontefice possa avere una sua personale “opinione” su argomenti di Fede e di Dottrina.

Avremmo insomma il caso singolare di un Pontefice che in alcuni casi può essere il dott. Jekyll e in altri Mister Hyde. Quando va in libera uscita come Mister Hyde, spara tranquillamente affermazioni eretiche.

Le anime belle vanno del resto compatite. Alcune per malinteso dovere d’ufficio (“Il Capo ha sempre ragione”), altre per servilismo, altre ancora per congenita incapacità di ragionare, tutte comunque dovevano arrampicarsi sugli specchi per far quadrare il cerchio.

Il Corriere.it pubblica un estratto dell’intervista che il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, ha concesso a Padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti, Civiltà Cattolica.

Ebbene, l’intervistato, che, va ricordato, (OMISSIS) ha de facto nominato interprete autentico di A.L. , toglie subito ogni illusione. Gli arrampicatori sugli specchi scivolano giù rovinosamente.

È evidente che si tratta di un atto di magistero! È una Esortazione apostolica. È chiaro che il Papa qui esercita il suo ruolo di pastore, di maestro e dottore della fede, dopo avere beneficiato della consultazione dei due Sinodi.

Penso che, senza dubbio alcuno, si debba parlare di un documento pontificio di grande qualità, di un’autentica lezione di sacra doctrina, che ci riconduce all’attualità della Parola di Dio. Amoris laetitia è un atto del magistero che rende attuale nel tempo presente l’insegnamento della Chiesa”.

Più chiaro di così…

Non pretendo qui di fare l’approfondita analisi dell’intervista. Mi sembra però che sia utile soffermarsi su poche parole, perché ci mostrano, con spudorata chiarezza, come il relativismo ormai domini in certa “teologia”. Dopodiché, va benissimo che A.L. sia, senza equivoci, un atto di magistero. Di “quale” magistero, è un altro paio di maniche.

Mi sembra utile leggere con attenzione questo passaggio:

Domanda: Il Papa afferma che «in certi casi», quando ci si trova in una situazione oggettiva di peccato — ma senza essere soggettivamente colpevoli o senza esserlo interamente —, è possibile vivere nella grazia di Dio. C’è una rottura con ciò che è stato affermato in passato?

 Risposta: «Il Papa ci invita a non guardare soltanto le condizioni esteriori, che hanno la loro importanza, ma a domandarci se abbiamo sete di perdono misericordioso, allo scopo di rispondere meglio al dinamismo santificatore della grazia. Il passaggio tra la regola generale e i “certi casi” non si può fare solo attraverso considerazioni di situazioni formali. È possibile dunque che, in certi casi, colui che è in una situazione oggettiva di peccato possa ricevere l’aiuto dei sacramenti».

Ecco ufficializzate nuove interessanti categorie: la “situazione oggettiva di peccato”, in cui però si può non essere “soggettivamente colpevoli”, oppure esserlo “non interamente”. Al caos, non certo casuale, della domanda, fa seguito il caos, non certo casuale, della risposta.

E così apprendiamo che si può essere in peccato, ma non esserlo, oppure essere in peccato ma non esserci del tutto, dal momento che si fa la curiosa distinzione tra situazione “oggettiva” e “soggettiva” di peccato. E chi è colpevole “senza esserlo interamente”, cosa deve fare? Un pentimento ma solo in percentuale?

E comunque in “certi casi” (quali? Non si sa!) chi è in situazione oggettiva di peccato (senza specifiche se sia soggettivamente colpevole oppure lo sia solo parzialmente) può ricevere “l’aiuto dei sacramenti”.

Ma l’unico “aiuto” che il peccatore può ricevere non è l’assoluzione, ovviamente previa confessione? La quale confessione comporta il sincero pentimento e il proposito di non perseverare nel peccato.

No, qui si parla di “sacramenti”, al plurale, e poiché si è a lungo blaterato, pardon, dibattuto, sulla comunione ai divorziati risposati, ecco che scopriamo che praticamente tutti possono ricevere la comunione, perché l’apparente caos delle situazioni “oggettive”, “soggettive”, “non interamente oggettive”, in definitiva comprende tutto e tutti. La genericità dei “certi casi” lascia ovviamente la porta aperta alle interpretazioni più diverse.

Resta il fatto incontrovertibile che “Chi mangia il pane e beve il calice del Signore indegnamente, mangia e beve la propria condanna”. Ma si direbbe che questo non preoccupi più.

Evidentemente la salvezza eterna non rientra più tra gli interessi di questa singolare neochiesa che esprime un nuovo “magistero”. Tant’è che con le affermazioni sopra riportate si rilascia, erga omnes, un lasciapassare per il sacrilegio.

E per chiudere, mi limito a sottolineare una cosa: questo guazzabuglio (e il resto che potete leggere su Corriere.it) non proviene da un mattacchione qualsiasi, in vena di bizzarrie para-teologiche. Proviene dal cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, indicato da (OMISSIS) come miglior interprete di A.L.

È tutto così terribilmente chiaro. Dio ci salvi.

Fonte: Riscossa Cristiana