Sui giornali conformisti e nei salotti Tv imperversano sempre gli adulatori del papa argentino, ma nel mondo del pensiero (sia cattolico che laico) si stanno alzando ora voci sconcertate: sia per la demolizione bergogliana del cattolicesimo, sia per la devastante ideologia politica del papa peronista e noglobal (l’Economist lo ha assimilato addirittura a Lenin per la sua idea della guerra mondiale come prodotto di capitalismo e imperialismo).
Dirompente in questi giorni è stato il più importante filosofo cattolico vivente, Robert Spaemann, amico personale di Joseph Ratzinger e docente di filosofia all’università di Monaco di Baviera.
FUORI DALL’ORTODOSSIA
Spaemann, a Catholic News Agency, ha dichiarato che, nell’Amoris laetitia di Bergoglio, c’è una rottura rispetto a tutto il magistero della Chiesa: “Che si tratti di una rottura è qualcosa che risulta evidente a qualunque persona capace di pensare che legga i testi in questione”.
Ma “rompere”, cioè deviare dal magistero di sempre, per la Chiesa, è gravissimo perché nessun papa ne ha il potere: egli deve essere il custode, non il demolitore della legge di Dio e del “depositum fidei”.
Spaemann, davanti ai sofismi di Bergoglio, è sarcastico: “se si tratta di relazioni sessuali che contraddicono oggettivamente l’ordinamento di vita cristiano, allora vorrei davvero sapere dal papa dopo quanto tempo e in quali circostanze una condotta oggettivamente peccaminosa si muta in una condotta gradita a Dio”.
Il testo bergogliano – spiega Spaemann – è improntato alla cosiddetta “etica della situazione” e, come Pio XII, “Giovanni Paolo II ha ricusato l’etica della situazione e l’ha condannata nella sua enciclica ‘Veritatis splendor’ ”.
La vera misericordia, precisa Spaemann, è quella che Giovanni Paolo II pose “a tema del proprio pontificato. È lui il suo interprete autentico”.
Per la Chiesa le conseguenze del papato bergogliano, sono devastanti: “Ci si deve aspettare una spinta secolarizzatrice e un ulteriore regresso del numero dei sacerdoti… Il caos” aggiunge Spaemann “è stato eretto a principio con un tratto di penna. Il papa avrebbe dovuto sapere che con un tale passo spacca la Chiesa e la porta verso uno scisma. Questo scisma non risiederebbe alla periferia, ma nel cuore stesso della Chiesa”.
La conclusione di Spaemann è drammatica:
“(Adesso) ogni singolo cardinale, ma anche ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di competenza l’ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente. Se il papa non è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente”.
Parole che ricordano il caso di papa Onorio (VII secolo) che, per molto meno, fu condannato dal III Concilio ecumenico di Costantinopoli e dai suoi successori.
Di certo il giudizio di Spaemann (che in precedenza aveva definito “autocratico” il sistema di governo del papa sudamericano) è condiviso da molti vescovi e cardinali che in maggioranza avevano bloccato la rivoluzione bergogliana al Concistoro e nei Sinodi del 2014 e del 2015.
Il loro sconcertato silenzio, dopo l’uscita dell’Amoris laetitia, sta diventando assai fragoroso. Spaemann ha svelato cosa pensano. E’ plausibile ritenere che ne abbia parlato pure con l’amico Joseph Ratzinger.
DISASTRO EMIGRAZIONE
Nei giorni scorsi un altro autorevole studioso, Paul Collier, docente di Economia e Politiche pubbliche a Oxford, ma soprattutto autore di “Exodus”, lo studio ritenuto fondamentale sul fenomeno migratorio, è intervenuto sul Catholic Herald bocciando la demagogia bergogliana sull’emigrazione.
Anzitutto ha spiegato che la retorica delle porte aperte ha danneggiato proprio i Paesi sofferenti da cui partono profughi e migranti, perché li ha privati delle energie migliori per la ricostruzione.
Poi ha osservato che – essendo limitate le risorse – gli Stati europei (e soprattutto le élites) non hanno il diritto di spalancare le frontiere a milioni di stranieri bisognosi sacrificando così gli interessi dei poveri d’Europa, magari tacciandoli pure di razzismo.
Del resto le frontiere degli stati nazionali “non sono abomini morali”. Sono la protezione della vita pacifica di una comunità.
REQUISITORIA
Più drastico in Italia è stato l’economista e scrittore Geminello Alvi secondo cui Bergoglio ha messo “il cattolicesimo ormai in liquidazione”, sta favorendo una “scriteriata” immigrazione (i gesuiti fanno i “filantropi coi soldi altrui”) ed è una “disgrazia quotidiana” per i suoi continui interventi su tutto (pure sulla paga degli statali).
Il papa argentino crede che il “peccato originale” sia l’economia, secondo Alvi, che alla fine lo paragona al “papa che profittò della rinuncia di Celestino”, quel Bonifacio VIII detestato (e messo all’inferno) da Dante: “anche quello” dice Alvi “era papato doppio, in condominio, d’elezione assai dubbia come risulta il suo”.
L’economista, che è un erudito, osserva che Bonifacio VIII portò al “crollo del papato e alla decadenza di Roma”, facendo intuire che simile sarà l’esito del papato di Bergoglio, che Alvi definisce “uomo di parte, tramite goffo di un disastro altrove voluto”.
POPULISTA ANTILIBERALE
E’ appena uscito poi il saggio di Loris Zanatta, storico delle relazioni internazionali nell’America latina all’ateneo bolognese. E’ interessante che sia stato pubblicato dal “Mulino”, tempio del mondo prodiano, cattoprogressista e laico di sinistra.
Zanatta afferma che il pensiero “peronista” di Bergoglio è tecnicamente definibile “populismo antiliberale”.
La sua ideologia è centrata sul “pueblo”, il popolo povero (di cui è simbolo il migrante), che sarebbe – nell’immaginario di Bergoglio – il romantico ricettacolo di tutte le virtù, all’opposto del ceto medio e degli altri ceti che hanno a che fare con il satanico denaro.
Naturalmente il semplicismo bergogliano è pieno di contraddizioni perché da questa visione deriverebbe che è un male liberare i popoli dalla povertà (la quale virtuosa povertà, peraltro, secondo Bergoglio, è pure la causa del terrorismo, cosa ben poco virtuosa).
Ma questo semplicismo ideologico permette al papa di accusare l’Occidente di essere un’“economia che uccide”, mentre nulla ha da obiettare sui sanguinari regimi comunisti di Cuba, Corea del Nord e Cina (ai cui tiranni anzi ha rivolto parole affettuosissime).
Bergoglio preferisce il “pueblo”, tutto ideologico, rappresentato dal Centro sociale Leoncavallo (che ha ricevuto), al concreto popolo cristiano del Family day (a cui ha chiuso le porte).
La visione bergogliana di economia ed ecologia è tutta ideologica.
FUORI DAL CATTOLICESIMO
Ma Flavio Cuniberto, docente alla facoltà di filosofia dell’università di Perugia, nel pamphlet “Madonna povertà”, mostra pure l’altra faccia teologica di questa ideologia.
Infatti Bergoglio stesso ha dichiarato: “La parola ‘popolo’ non è una categoria logica, è una categoria mistica”. Esso finisce per sostituire la Chiesa come Corpo mistico di Cristo.
Per questo nella settimana santa, invece di parlare della Passione di Gesù, ha parlato ogni giorno della passione dei migranti.
E il giovedì santo invece di parlare dell’Eucaristia (adorandola) e della sua istituzione nell’ultima cena, ha lavato i piedi ad alcuni migranti (anche musulmani e indù) e ha venerato loro.
Per questo, definendo a quale condizione si può ricevere degnamente la comunione, nell’Amoris laetitia (n. 186), non scrive: “quando si è in grazia di Dio, senza peccati mortali”. Ma: se si professa la religione del “pueblo”, dei migranti, la teologia pauperista.
Bergoglio stravolge le Sacre Scritture, spiega Cuniberto, fino a sostituire il peccato originale (come causa della decadenza del creato) con gli egoismi capitalistici che inquinano l’ambiente. Il peccato non è più l’adulterio, l’ateismo o la miscredenza, ma l’uso di bicchieri di plastica e condizionatori d’aria.
Per Cuniberto è una “rifondazione del cristianesimo”, in chiave new age, senza la croce di Cristo. Cioè l’affondamento del cattolicesimo. Nel ridicolo.
Antonio Socci
Da “Libero”, 1 maggio 2016
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