Continua ad essere tormentato l’avvio della riforma dei processi di nullità promulgata da papa Francesco ed entrata in vigore l’8 dicembre scorso. In Italia, ad esempio, solo una diocesi su 226 si è dotata di un proprio tribunale, come previsto dalla riforma: quella di Pistoia. E lo ha fatto solo parzialmente. Cioè solo per le cause di nullità istruite nella forma “breviore” o documentale.
Per le cause ordinarie anche la diocesi di Pistoia continuerà infatti a far capo al tribunale canonico regionale della Toscana, che è uno dei quindici tribunali regionali nei quali si articola dal 1938, per impulso di Pio XI, l’apparato giudiziario della Chiesa italiana.
O meglio, si articolava. Perché un rescritto pontificio del 7 dicembre scorso ne ha predisposto il disarmo, a vantaggio appunto della costituzione di tribunali in ciascuna diocesi o in gruppi di diocesi.
E il segretario della conferenza episcopale italiana Nunzio Galantino si era addirittura affrettato a dare già per defunti i tribunali regionali, in una sua lettera circolare del 17 dicembre sottoposta a critica su Settimo Cielo dal canonista Guido Ferro Canale:
> Tribunali di male in peggio. Dopo il rescritto papale, la circolare di Galantino
Nonostante ciò, le conferenze episcopali di ciascuna regione ecclesiastica si sono man mano pronunciate per tenere in vita i rispettivi tribunali regionali: prima in Lombardia, poi nelle Marche, in Campania, nelle Puglie, in Sardegna, in Piemonte e così via.
Tutte sapevano però di muoversi in un quadro giuridico confuso. Così confuso che una di esse, quella della Sicilia, ha stabilito di non accogliere più nuove cause di nullità fino a che le cose non si chiarissero.
Nella sua circolare del 17 dicembre, monsignor Galantino informava i vescovi italiani di aver interpellato la Santa Sede su “alcune questioni aperte”, riguardanti il destino sia delle cause avviate prima del fatidico 8 dicembre, sia di quelle presentate in seguito.
Ebbene, la risposta dell’organismo vaticano competente, il supremo tribunale della segnatura apostolica, è arrivata a Galantino con lettera del 22 dicembre:
> “Eccellenza Reverendissima…”
Ed è un sonoro schiaffo al segretario della CEI.
Perché il parere della segnatura apostolica è che i tribunali regionali non sono affatto da ritenersi decaduti. Ed anzi devono continuare a funzionare a pieno ritmo, con le vecchie cause come con le nuove, sia pure sotto la nuova etichetta di tribunali interdiocesani, ferma restando la facoltà di ogni singolo vescovo di “disaggregare la propria diocesi” e costituire un tribunale diocesano proprio, come pure la facoltà di più vescovi di costituire assieme un loro tribunale interdiocesano.
Il 29 gennaio, il consiglio permanente della conferenza episcopale italiana ha preso atto di questa messa a punto vaticana, stabilendo che “nell’attuazione della riforma siano ricercate a livello di regione ecclesiastica soluzioni condivise”, cioè in pratica facendo subentrare agli attuali tribunali regionali dei nuovi tribunali interdiocesani, preferibilmente con la stessa giurisdizione territoriale di riferimento.
Questo vuol dire che in Italia non sembra attecchire un principio cardine della riforma di papa Francesco: quello secondo cui ogni diocesi debba puntare ad avere il suo tribunale.
La CEI ha anche messo in cantiere maggiori provviste economiche sia per rafforzare i tribunali esistenti, sia per rendere ancora più “gratuito” di quanto già lo sia (poco più di 500 euro per un’intera causa) il ricorso ai tribunali stessi da parte dei fedeli
A livello più generale, va inoltre registrato che il 3 febbraio il tribunale apostolico della Rota romana ha pubblicato un “Sussidio applicativo del motu proprio Mitis Iudex Dominus Deus“.
È un vademecum d’una settantina di pagine diramato non solo per aiutare la messa in pratica della riforma voluta da papa Francesco ma anche per ribadire e chiarire alcuni dei suoi punti più criticati.
Ad esempio, a pagina 27, il sussidio conferma che la maggiore novità della nuova legge di Francesco è l’attribuzione del “valore di prova piena” alle semplici dichiarazioni delle parti in causa, “nell’assenza di altri elementi che le confutino”.
Mentre alle pagine 32-35 ripercorre e spiega ad una ad una le circostanze che il discusso articolo 14 delle nuove regole procedurali elenca come atte a “consentire la trattazione delle cause di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve”.
Con questa premessa molto rivelatrice degli equivoci che tale articolo ha generato:
“Necessita sgomberare il campo da equivoci: queste circostanze di fatto non sono nuovi capi di nullità. Si tratta, semplicemente, di situazioni che la giurisprudenza ha da tempo enucleato come elementi sintomatici di invalidità del consenso nuziale”.
La circostanza sulla quale il sussidio più si diffonde è la “mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà”.
Punto effettivamente molto controverso. E tuttora lontano dall’essere risolto.
Basti vedere la cautela con cui ne ha parlato lo stesso papa Francesco, nel discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario del tribunale della Rota romana, il 22 gennaio:
“È bene ribadire con chiarezza che la qualità della fede non è condizione essenziale del consenso matrimoniale…”.
Fonte: Settimo Cielo