Venerdì il patriarca di Mosca ha regalato al Papa una copia, più piccola dell’originale, della Madonna di Kazan (restituita da Giovanni Paolo II ai russi nel 2004). Di seguito la storia del rapporto fra Stalin e l’icona veneratissima, raccontato da Vittorio Messori sul Timone di luglio 2014.
[…] Come si sa, nel giugno del 1941 la Germania attaccò con ogni forza disponibile l’Unione Sovietica, cogliendo di sorpresa, anzi sbalordendo amaramente, Stalin. Il quale – e troppo spesso lo si dimentica – nel 1939 aveva permesso alla Germania nazista di scatenare la terza guerra mondiale, firmando con Hitler un patto di non aggressione.
Il Fuhrer aveva vissuto di persona, combattendo come caporale (e coraggiosamente, va detto: due croci al valore che portò sempre come unico ornamento sulla giacca militare) avendo vissuto, dunque, la verità di un assioma della strategia teutonica: la Germania era in grado di vincere la Francia a Ovest e la Russia a Est, ma una dopo l’altra, non insieme.
Non a caso, il Capo dello Stato Maggiore prussiano, il celebre von Schlieffen, aveva per decenni perfezionato il piano che porta il suo nome: in caso di guerra, subito un colpo di maglio sulla Francia, sbaragliarla in quattro settimane e poi trasportare ogni uomo e mezzo ad Oriente per battere la Russia, prima ancora che potesse mobilitare le sue masse.
Si sa come il piano non abbia funzionato (seppure per un pelo, quando già i tedeschi si approssimavano a Parigi e il governo francese era fuggito a Bordeaux) e la guerra fu persa dopo quattro anni di lotta all’ultimo sangue. Hitler, preparando la rivincita, si premurò dunque di accordarsi con la Russia, divenuta nel frattempo Unione Sovietica: Stalin avrebbe avuto in cambio la Polonia Orientale e la Germania si sarebbe presa quella occidentale.
Non solo: i comunisti avrebbero fornito il carburante necessario ai carri armati e agli aerei nazisti e ne avrebbero ricavato grandi quantità di marchi, valuta pregiata di cui avevano estremo bisogno, visto che al di fuori delle frontiere sovietiche il rublo non era accettato da alcuno, nel mondo.
Si sa che il piano quella volta funzionò: avendo la schiena al sicuro, il Blitz-Krieg germanico, nelle quattro settimane previste sbaragliò non solo le truppe francesi ma anche quelle inglesi, così Hitler e Stalin si spartirono il bottino polacco.
Il dittatore sovietico si fidava del collega tedesco e invece fu aggredito all’improvviso, cadendo in una sorta di catalessi, chiuso in un rifugio segreto, senza dare segni di vita alle sue forze armate e al suo Paese mentre la Wehrmacht avanzava trionfalmente.
Soltanto il 3 luglio pronunciò alla radio un appello per denunciare il tradimento dell’alleato e per incitare alla resistenza. Un appello famoso, anche perché si rivolse ai popoli dell’Urss non con il canonico, obbligatorio “compagni e compagne”, bensì con un inedito, per lui e per il regime tutto, “fratelli e sorelle”.
Un linguaggio cristiano, dunque, che sbalordì sia i russi che i governi del mondo intero, che ben conoscevano l’implacabile e sanguinaria persecuzione alla Chiesa e a tutti credenti praticata dall’ex seminarista georgiano con costanza e crudeltà davvero sataniche.
Nel 1938, aveva varato il “piano quinquennale dell’ateismo“ che prevedeva per il 1943 la chiusura dell’ultima chiesa ancora aperta e l’eliminazione dell’ultimo sacerdote.
Ma, in quel 1941, accade qualcosa di ancor più sconvolgente: agli ufficiali fu ordinato di ritornare all’antica prassi zarista, secondo la quale le truppe erano avviate alla battaglia con un: “Avanti, con Dio!”.
Alle truppe, inoltre, fu assegnato un buon numero di quei cappellani che, ovviamente, non esistevano più sin dai primi tempi di Lenin. Si succedettero altre misure sbalorditive, come l’ordine di riaprire al culto ben 20.000 chiese e, con particolare solennità, due dei santuari più venerati dal popolo: il monastero della Trinità di San Sergio e quello “Tre Grotte” a Kiev.
Il regime non aveva mai permesso che fosse coperto il posto di Patriarca della Russia ed ecco che la Pravda, per la prima volta, diede notizia che Stalin aveva ricevuto una delegazione ecclesiastica e (parole testuali del giornale ufficiale del PCUS ) «il Comandante Supremo delle Armate e Capo del governo ha espresso la sua comprensione alla proposta dei religiosi di eleggere un Patriarca e ha dichiarato che da parte del governo non verrà opposto ostacolo».
Ancor più sconvolgente per popoli abituati alla lotta implacabile contro le “superstizioni“: nella Leningrado assediata dai tedeschi riapparve, dal magazzino in cui era buttata assieme a moltissime altre immagini sacre, l’icona veneratissima della Madre di Dio di Kazan, protettrice della Russia e, sotto il tiro dell’artiglieria tedesca e della Lutwaffe, le autorità stesse organizzarono una devota processione.
E non finì lì: l’icona così cara a tutti i credenti fu trasportata a Mosca, essa pure sotto tiro, e un’altra processione fu celebrata con la collaborazione del Partito ateo.
Ma lo sbalordimento raggiunse il culmine quando la Madre di Dio di Kazan, con un viaggio lungo e tormentato, raggiunse un’altra città assediata, una città che portava il nome stesso del Grande Capo e che quindi aveva un altissimo valore simbolico: Stalingrado.
A che cos’era dovuta questa svolta del tutto imprevista? Perché, proprio mentre era in corso il “piano quinquennale dell’ateismo“, il regime persecutore non era divenuto solo tollerante ma addirittura promotore e fiancheggiatore della ripresa religiosa nella Unione comunista?
Fino all’uscita del libro di Radzinky, gli storici mettevano in gioco la Real Politik di Stalin che, vistosi sull’orlo dell’abisso, aveva fatto appello alla resistenza del popolo russo anche in nome di quel cristianesimo cui aveva aderito tardi ma in modo appassionato.
Già con Napoleone e poi con le divisioni del Kaiser, nel 1914, le masse dei contadini, per quanto poco o niente armate, erano andate al massacro senza paura perché alla loro testa stavano i pope che alzavano le Sacre Icone di Maria e dei Santi.
Anche la guerra dei comunisti doveva diventare la guerra della Patria: ma di questa faceva indelebilmente parte lo spirito religioso che bisognava tentare di far risorgere.
C’è del vero, naturalmente, in questa lettura. Ma c’è anche altro che, fino alla consultazione dei documenti segreti da parte di Radzinky, era oggetto solo di voci confuse e incontrollabili. Dietro a tutto questo ci sarebbe, nientemeno, che una apparizione della Madonna.
Andò così: in quel crogiolo di religioni e di confessioni che è il Libano, i cristiani ortodossi (la maggior comunità religiosa dopo i cattolici) avevano per metropolita un asceta, venerato dal suo popolo, a nome Elia.
Davanti al disastro che si profilava per la Russia, quel presule decise di chiudersi nella cripta della sua cattedrale, restando in ginocchio per tre giorni e tre notti, senza mangiare, bere né dormire e pregando la Madre di Dio.
Elia non aveva alcuna simpatia per i comunisti, sapeva bene come perseguitassero i credenti, eppure quel Paese restava per lui – ortodosso – la Santa Russia e Mosca era pur sempre la Terza Roma che non doveva essere violata da stranieri.
Nell’ultimo dei tre giorni di penitenza, ecco la visione prodigiosa: in una colonna di fuoco gli apparve quella Regina del Cielo che aveva invocato con tanto ardore e che gli trasmise le disposizioni del Cielo: «Bisogna riaprire in tutta la Russia chiese e monasteri. I sacerdoti devono essere liberati dalle loro prigioni.
Non cederanno a Leningrado se porteranno in processione l’icona, così venerata di Kazan. Questa deve poi essere onorata anche a Mosca e a Stalingrado».
Su questa immagine mariana di Kazan e sul ruolo importantissimo che ebbe nella storia russa (dunque, di riflesso, anche nella storia dell’Europa intera) ci piacerebbe parlare nel prossimo appuntamento, qui non essendoci per ora spazio.
Basti dire che quella icona aveva già mostrato quali fossero i suoi effetti, avendo liberato, alla fine del Trecento, Mosca occupata da Tamerlano alla testa dei suoi mongoli.
Dopo la visione, il patriarca Elia non ebbe esitazioni: scrisse subito una lettera per i suoi confratelli russi e la fece recapitare tramite l’ambasciata sovietica a Beirut. Si sa che quel messaggio del metropolita libanese fu certamente letto dal dittatore perché gli fu segnalato come da non sottovalutare dal capo di stato maggiore dell’Armata Rossa, il generale Boris Shaposnikov.
Costui era stato un valoroso colonnello nell’esercito dello zar, godeva del favore di Stalin per le sue doti militari, era scampato alle terribili “purghe” volute dal despota tra le alte gerarchie dell’Armata.
E questo, malgrado non nascondesse di sentirsi ancora un credente ortodosso, seppure non più praticante. Ma il dittatore era disposto a “perdonarlo”….
Secondo lo storico Radzinky dietro la clamorosa svolta “religiosa” tra 1941 e 1942 (e sino alla fine della guerra) c’è questa lettera profetica, non c’è soltanto il calcolo politico, la finzione per coinvolgere il popolo nella difesa del regime.
Quella svolta, in effetti, non fu del tutto rinnegata dal regime a vittoria ottenuta. Continuò la repressione ma la persecuzione fu alleviata e del “piano quinquennale“ per l’estirpazione della fede non si parlò più.
Anzi (ed è forse la prova principale della verità dei fatti) nel 1947 al metropolita fu assegnato uno dei premi Stalin, il Nobel sovietico, conferito ogni anno non solo ad artisti e scienziati ma anche a coloro che avessero compiuti «importanti servizi all’Unione Sovietica e alla causa del socialismo», come diceva lo statuto.
Tutti si chiesero perché a quel presule straniero, sconosciuto in Russia, ignorando ovviamente (anche nelle alte sfere) il retroscena “mariano“. Il metropolita, però, seppure ringraziando cortesemente, rifiutò il Premio – già dicemmo come fosse ostile al comunismo – ma chiese che il grosso importo di denaro che comportava fosse impiegato per soccorrere i piccoli orfani russi della guerra. Promosse poi, allo stesso fine, una colletta tra i suoi fedeli e la inviò a Mosca.
Questa, dunque, una vicenda misteriosa ma seriamente documentata e che pone anche al cristiano degli interrogativi. Come scrisse Pio XI nelle sue encicliche contro ogni totalitarismo, comunismo e nazionalsocialismo erano, per il loro ateismo, fratelli gemelli, anzi erano “come la peste e il colera”: non si poteva dire quale fosse il peggiore.
Perché, dunque, il Cielo avrebbe dovuto favorire Stalin rispetto a Hitler? Il male minore, in quel momento? Un modo per alleviare la sofferenza dei cristiani almeno nell’Urss, interrompendo il genocidio programmato per far scomparire del tutto fede, fedeli, sacerdoti, chiese? La prospettiva che un asservimento della Russia alla Germania (era il piano di Hitler, gli slavi, etnia di schiavi, dovevano essere posti con la forza sotto il dominio dell’ariano Herrenvolk , il “popolo di signori”) sarebbe stato peggiore che l’espansione del comunismo ad Occidente, come avvenne dopo la guerra?
Sono casi in cui ci si può unire all’espressione islamica davanti agli enigmi della vita: «Dio ne sa di più!». Non dobbiamo dimenticare che i piani di Dio non sono i nostri, che le Sue vie non sono le nostre vie e che a noi non resta che accettare i fatti. Certi che la Provvidenza – e Maria che ne è il portavoce, in questo come in tanti altri casi – sanno ciò che è meglio per il bene degli uomini, soprattutto tra tante sofferenze, come le guerre, create proprio dagli stessi uomini.
Fonte: Il Timone