La consapevolezza del rapporto fra lo sport moderno e le antiche discipline sportive è ampiamente diffusa: le Olimpiadi moderne, come tutti sanno, si riallacciano direttamente a quelle antiche. Ma lo sport, nell’antichità, era praticato in un quadro ideologico ben diverso da quello attuale. Il motto decoubertiniano «l’importante è partecipare» sarebbe stato incomprensibile per i Greci: per l’atleta greco l’importante era vincere.
Con la vittoria, l’atleta accresceva il proprio prestigio personale e familiare, che si riverberava sulla sua comunità di origine, la quale lo onorava con riconoscimenti pubblici e ricompense. Aristocratici e tiranni cercavano nella vittoria sportiva una legittimazione al proprio potere. Le fonti ricordano statue innalzate a campioni che avevano vinto diverse volte le gare della loro specialità in competizioni panelleniche; grandi poeti come Pindaro celebravano i vincitori con i loro componimenti elogiativi. Gli atleti vittoriosi, nell’antichità, erano vere e proprie star.
Un altro aspetto distingueva le antiche manifestazioni sportive dalle nostre. I giochi sportivi erano sempre legati a una festa religiosa: un funerale, una festa per la divinità protettrice della città, una festa panellenica. Le celeberrime Olimpiadi, che Pierre de Coubertin volle riesumare nel 1896, si svolgevano ogni quattro anni ad Olimpia, nel Peloponneso, in occasione delle feste dedicate a Zeus Olimpio: celebrate dal 776 a.C. al 393 d.C., esse furono, tra le celebrazioni antiche, quelle in cui lo sport ebbe un ruolo maggiore (le feste comprendevano anche agoni di carattere poetico e musicale).
Le Olimpiadi erano un’occasione, per i Greci, di incontrarsi per la celebrazione di un culto comune, in un contesto protetto dalla guerra, e di confrontarsi sia nei diversi agoni, sia a livello politico: a Olimpia, infatti, spesso gli oratori presentavano discorsi “panellenici”, su temi politici di interesse comune. Oggi, invece, religione e politica sono banditi dal contesto olimpico e ritenute anzi elementi capaci di portare fratture in un contesto pacifico e unitario.
Caratteristico dello sport antico era anche il collegamento con la preparazione militare: gli allenamenti si svolgevano nei ginnasi, dove si formavano i giovani guerrieri, e da qui sortivano i migliori atleti che si presentavano poi alle competizioni locali e nazionali. Si praticavano vari tipi di corsa a piedi, di lotta, di pugilato, di corse coi cavalli, nonché il pentatlo, comprendente lancio del giavellotto e del disco, corsa, salto in lungo e lotta; alcune discipline erano molto pericolose per l’incolumità degli atleti.
Questi aspetti particolare (carattere militare, religioso e “agonale”) facevano sì che i giochi panellenici fossero riservati agli uomini liberi di stirpe greca; essere ammessi alle Olimpiadi divenne così una sorta di “patente” di grecità per coloro che, come i Macedoni, erano di origini dubbie.
Se lo sport era una realtà significativa della civiltà etrusca, come attestano le pitture parietali delle tombe, a Roma lo sport ebbe in origine un valore soprattutto militare; in seguito esso assunse carattere ludico e gli sport più popolari divennero le corse con i cavalli e i giochi gladiatori. Se in Grecia la star era l’atleta, a Roma era il gladiatore: è noto che anche gli imperatori, come Commodo, non disdegnavano di partecipare in prima persona ai giochi gladiatori. E qui, a maggior ragione, bisognava vincere: partecipare poteva non bastare ad aver salva la vita.
Fonte: Avvenire