E’ stata una scoperta frutto della ricerca italiana pubblicata sul ‘New England Journal of Medicine’ dal team di Ermanno Greco, autore dello studio e direttore del Centro di medicina e biologia della riproduzione all’European Hospital di Roma. Il 5% delle 3.800 blastocisti (il nome che si dà al bambino entro le prime 2 settimane dalla fecondazione) studiate è risultato “a mosaico”, cioè con cellule malate e cellule sane.
Lo studio ha dimostrato che anche questi embrioni devono essere considerate utili per il trasferimento in utero e non più lasciati nel congelatore o, come avviene in molti casi, eliminati.
“Alcuni embrioni parzialmente malati possono infatti essere in grado di auto-correggersi”, spiega Greco.
“Per la prima volta al mondo sono stati trasferiti all’interno dell’utero materno embrioni parzialmente malati, chiamati embrioni aneuploidi a mosaico, e si è dimostrato che possono dare origine a gravidanze normali e a bambini sani”.
Al danno, così, si aggiunge la beffa. Con la fecondazione artificiale si sacrificano decine di migliaia di esseri umani allo stato di embrioni. Decine di migliaia di bambini scartati finora dalla superbia prometeica degli uomini. Non solo i malati, ma – ora sappiamo – anche quelli potenzialmente sani.
“Un tempo la scelta si basava sull’aspetto morfologico e sul numero di cellule, tuttavia oggi sappiamo che sono gli embrioni sani, cioè con il corretto patrimonio genetico, e non quelli ‘belli’, che poi si impiantano – precisano i ricercatori.
Quindi resta il fatto che quelli non sani si buttano via.
Però, “Con questa tecnica, chiamata preimplantation genetic screening-Pgs, possiamo verificare l’intero assetto genetico, non solo di alcuni cromosomi come in passato, e senza alcun rischio per il futuro feto“.
Bhè… qualche rischio per il feto sussiste: ad abortirlo si fa sempre in tempo. Perché se non ha problemi cromosomici, vista la vis sanatrix naturae, potrebbe comunque avere qualche altro difetto, tipo il labbro leporino o il piede torto…
Fonte: Notizie Pro Vita