Perché la Chiesa è aperta (anche) ai razzisti – di Giuliano Guzzo

chiesapeccatori«In questa chiesa è vietato l’ingresso ai razzisti…tornate a casa vostra!», recita un manifesto affisso all’ingresso della chiesa di Sant’Angelo in Mercole a Spoleto. C’è da augurarsi che il singolare divieto, accostato pure ad una citazione evangelica che in teoria dovrebbe giustificarlo («Ero straniero e non mi avete accolto…Lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno…»), sia colpa del caldo, perché diversamente sarebbero molte le criticità che solleverebbe.

La prima: che meriti particolari hanno, rispetto ai razzisti, gli assassini, i pedofili, gli stupratori, i ladri e i calunniatori? Qualcuno, evidentemente, lo devono pur avere perché a loro le porte della chiesa rimangono spalancate.

Secondo aspetto critico del divieto antirazzista. Fino a prova contraria, il razzista odia, e uno che odia è il primo ad aver bisogno di un Dio che, essendo Amore, lo liberi dal suo peccato.

Non è forse così? E se è così, non sarà che vietando «l’ingresso ai razzisti», di fatto, si ostacola colpevolmente il piano di salvezza che Dio ha per ciascuno, alterando fra l’altro l’immagine stessa della Chiesa, che apparirebbe come un club dei migliori?

Terzo, ma non meno importante aspetto, il cristiano è chiamato a giudicare – e condannare – il peccato, in questo caso il razzismo, ma il giudizio definitivo sul peccatore, che io ricordi, spetta solo a Dio; eppure cos’è un divieto d’ingresso in chiesa per alcuni se non un giudizio definitivo su di loro?

Un ultimo pensiero, questa volta personale. Una delle cose più belle del Cristianesimo, per me, è quel perdono che Dio, sfidando ogni umana logica, ci offre continuamente, con pazienza paterna e con l’ostinazione dell’innamorato.

Se così non fosse, se la Chiesa non fosse davvero refugium peccatorum credo – anche senza essere razzista, ed anche senza reputarmi il peggiore degli uomini – che sarei inconsolabile: ma per fortuna Dio non solo non teme la miseria umana, ma si serve delle nostre fragilità per costruire nuove, formidabili alleanze.

Don Divo Barsotti (1914-2006) ha scritto: «È il tuo peccato che lo chiama, nulla più efficacemente della tua miseria lo attrae, purché tu gliela doni […] In un istante i tuoi peccati sono distrutti, non sono più. Egli solo è».

Fonte: il blog di Giuliano Guzzo