Non seguo le vicende di Hollywood. Conosco il nome di qualche attore solo perché lo sento ripetere spesso. Il problema è che non li riconosco sullo schermo. I volti sono familiari, così come i nomi, ma non riesco sempre ad abbinarli. Non lo considero comunque un problema. Non so chi sia il protagonista di Captain America – Il Primo Vendicatore. La mia seconda figlia, che probabilmente sa la sceneggiatura a memoria, potrebbe considerare questa ammissione come uno dei miei fallimenti personali nella vita, ma la questione è che non mi importa.
Non me la cavo meglio con le cosiddette “leggende” di Hollywood – ad eccezione di Bob Hope, John Wayne, Gary Cooper e Susan Hayward (nel caso di quest’ultima, solo perché una volta uscivo con una ragazza dallo stesso nome).
Questi e altre leggende come loro non sono persone che “diventano famose per il fatto di essere famose”, come sembra avvenire oggi. Non sono come Paris Hilton. No. Queste persone sono diventate famose per aver fatto qualcosa, per la loro arte. E ai loro tempi lo hanno fatto meglio di chiunque altro.
Il compito di un attore è prendere una sceneggiatura e in primo luogo memorizzarla. Bisogna poi creare un personaggio, partendo dalle semplici parole, chiedendosi “Cosa vuole questo personaggio?” e trasmettendo quella percezione spesso intuitiva ad altri attori che reagiscono e rispondono con un’intuizione simile. Insieme realizzano qualcosa di più grande rispetto alla sceneggiatura.
Queste leggende di Hollywood possedevano un’innata abilità camaleontica – in parte grazie a costumi e trucco – di cambiare, indossare una maschera teatrale e diventare qualcuno che non erano e che non avrebbero mai potuto essere, e nel ruolo successivo diventare ancora una volta qualcun altro.
Forse, nel loro insieme, gli attori di una volta e quelli di oggi sono brave persone, sollecite e amichevoli, gentili con gli estranei e con gli animali, ma messi insieme nella terra del cinema californiana diventano una folla autoreferenziale.
Questa è almeno la mia impressione dopo aver letto i loro profili biografici in Oasis: Conversion Stories of Hollywood Legends. Nessuno di loro ha mai capito esattamente chi fosse, non fino a dopo, alla fine della propria vita.
Secondo l’autrice del testo, Mary Claire Kendall, la cultura di Hollywood li ha corrotti. Sono diventati libertini: adulteri seriali (Gary Cooper, Bob Hope, John Wayne, Patricia Neal), dipendendi da alcool e droghe (Mary Astor, Betty Hutton), tutti decisamente diversi nella vita reale dai personaggi che interpretavano.
Si potrebbe dire che c’era qualche demone che li tormentava. La maggior parte di loro veniva da famiglie spezzate; aveva avuto qualche trauma infantile mai superato; cercava nella recitazione il riconoscimento, o perfino l’amore, a cui anelava.
Quello che sono diventati sullo schermo significava spesso diventare una persona migliore, ma era solo nella finzione che trovavano qualche traccia della perfezione che cercavano di raggiungere nella vita reale. Non erano mai davvero se stessi sullo schermo.
Forse sono troppo severo. Dopo tutto, queste persone sono state create per noi; sono la nostra adulazione nei loro confronti e la nostra fame ad aver prodotto quelle vite dello schermo, vissute in modi che pensiamo vorremmo emulare o commiserare. Ma alla fine, erano solo attori?
Queste storie di Hollywood sono principalmente storie di conversione alla Chiesa cattolica. Le biografie sono davvero troppo abbozzate per permettere di cogliere completamente l’idea, e sembra che troppe di queste leggende abbiano realizzato la propria conversione quasi troppo tardi. “Il suo corpo aveva iniziato a sfaldarsi”, dice la Kendall di Alfred Hitchcock, “e la sua anima a risvegliarsi”.
Non credo che le conversioni siano sempre così nette. Spesso sono complicate e confuse, quanto le persone di cui scrive la Kendall. Leggete il suo libro; capirete cosa intendo.
Russell E. Saltzman
Ex pastore luterano diventato cattolico romano, scrive su First Things e vive a Kansas City (Missouri, Stati Uniti).
Fonte: Aleteia