Ho voluto essere qui con voi per dirvi che non siete soli, che Gesù e sua Madre non vi hanno abbandonato. Sono le parole commosse che Francesco ha rivolto alle 200 mila persone che, sfidando una vera tempesta di vento e pioggia, hanno partecipato alla Messa a Tacloban, località duramente colpita nel 2013 dal tifone “Yolanda”. Il maltempo ha costretto il Papa a dimezzare il tempo di sosta sull’isola di Leyte e a ripartire per Manila, dove è rientrato quando in Italia erano le 7 del mattino.
La cronaca di questa intensa giornata nel servizio del nostro (Radio Vaticana, ndr) inviato, Alessandro De Carolis.
Fango, pioggia e tanta fede a Tacloban
Fango, pioggia battente e tiepida, e il vento che non smette mai e che la incolla addosso quasi senza accorgertene. Sembra l’ultimo posto per un altare all’aperto e una celebrazione di massa, che andrebbe sicuramente deserta in quelle parti del mondo dove anche per l’anima si chiede un po’ di comfort. Ma non c’è nessun confort e non è deserta l’area attigua all’aeroporto internazionale di Tacloban. C’è un altare allestito con amore, quasi una sfida al fortunale che imperversa. E c’è la folla, tanta, un’unica macchia gialla, perché quasi tutti si coprono con il sottilissimo impermeabile di plastica trasparente dello stesso colore. Una macchia meravigliosa e non perché abbia alcunché di estetico, ma perché se la fede avesse un colore, oggi sarebbe gialla.
“Dovevo venire qui”
Papa Francesco non ci pensa su un momento a vestirsi allo stesso modo. Appena sbarcato, sulla papamobile aperta, sferzata dall’acqua, accetta la cerata gialla che gli porgono, la tiene anche sopra i paramenti e quando sale sull’altare sembra davvero quello che forse il suo cuore gli suggerisce di essere lì e in quel momento tanto atteso: nient’altro che il pastore di quel popolo, uno del popolo, che 14 mesi fa – al passaggio del più devastante tifone della storia – ha perso tutto e che ora vuole sentire da lui che non tutto invece è perduto:
“Cuando yo vi desde Roma esta catástrofe, sentí que tenía que estar aquí …
Quando io ho visto da Roma questa catastrofe, ho sentito che dovevo venire qui. In quei giorni ho deciso di fare il viaggio qui. Ho voluto venire per stare con voi – un po’ tardi mi direte, è vero, ma sono qui. Sono qui per dirvi che Gesù è il Signore, che Gesù non delude. ‘Padre – mi può dire uno di voi – a me ha deluso perché ho perso la casa, ho perso quello che avevo, sono malato…’. E’ vero questo che mi dici, e io rispetto i tuoi sentimenti; ma Lo vedo lì inchiodato, e da lì non ci delude”.
“Non so cosa dirvi, ma guardiamo Cristo”
In un giorno come questo a parlare deve essere la lingua del cuore. Francesco usa lo spagnolo tradotto in simultanea in inglese. “Yolanda” se n’è andata alzando onde di sette metri che sono piombate su persone e cose ritirandosi e trascinando via come l’artiglio di un predatore. A poche dozzine di metri dall’altare sono visibili molte tracce dello sfacelo, carcasse e mozziconi di muri, piante divelte e una fila infinita di baracche rabberciate, con le pozzanghere a fare da zerbino.
“Tantos de ustedes han perdido todo. Yo no sé qué decirles…
Molti di voi hanno perso tutto. Io non so che cosa dirvi. Lui sì, sa che cosa dirvi! Molti di voi hanno perso parte della famiglia. Solamente rimango in silenzio, vi accompagno con il mio cuore in silenzio… Molti di voi si sono domandati guardando Cristo: ‘Perché Signore?’. E ad ognuno il Signore risponde dal suo cuore. Io non ho altre parole da dirvi. Guardiamo Cristo”.
Non siamo soli
Nel giorno dedicato ai superstiti, sembra che a non sopravvivere alla signoria degli elementi sia il tempo della compassione, evocata nel testo che il Papa aveva preparato. Tutto deve essere riprogrammato in velocità: la Messa, il pranzo con una trentina di persone che hanno avuto lutti a causa del tifone che diventa un pasto consumato in fretta. Ma Francesco non ha intenzione di farsi rubare dalla tempesta il giorno della speranza, voltare in fuga una visita attesa con tutto il cuore. Così, lungo la strada che lo porta all’arcivescovado per il pranzo, trova il tempo di un saluto a una famiglia di superstiti e forse ripete loro le parole di consolazione che in modo accorato ha detto a Messa:
“En silencio hagamos esta oración, cada uno digale lo que siente …
In silenzio, facciamo questa preghiera, ciascuno le dica ciò che sente. Non siamo soli, abbiamo una madre. Abbiamo Gesù, nostro fratello maggiore. Non siamo soli. E abbiamo anche tanti fratelli che, nel momento della catastrofe, sono venuti ad aiutarci. E anche noi ci sentiamo più fratelli aiutandoci, perché ci siamo aiutati gli uni gli altri”.
Il Papa a Palo
La corsa riprende, l’aereo deve decollare entro le 13 locali. Così la benedizione del Centro per i poveri che porta il suo nome, costruito anche con la carità del Papa, viene fatta in transito dalla papamobile. E la pioggia non lava via dalle facce zuppe in attesa da ore a Palo – altra località colpita da Yolanda – la delusione per l’annuncio che Francesco arriverà nella cattedrale ricostruita nient’altro che per un breve saluto. Nelle sue parole a sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi c’è rammarico, una scusa impotente. E c’è spazio per un’Ave Maria.
Il Signore non ci lascia orfani
Dopo il Papa se ne va, ma Francesco resta. Resta ciò che avrebbe voluto dire ai governanti e ai benefattori: non stancatevi, “rimane ancora molto da fare”, anche se i giornali non parlano più questi posti. E resta la sua preghiera finale, che bagna tanti visi, ma non di pioggia:
“Gracias Señor porque siempre estas cercano a nosotros, aún en los momentos …
Grazie, Signore, perché sei sempre vicino a noi, anche nei momenti di Croce. Grazie, Signore, per averci dato la speranza. Signore, possa la speranza non essere mai portata via da noi. Grazie, Signore, perché nei momenti più bui della tua vita, sulla Croce, Ti sei ricordato di noi e ci hai lasciato una madre, Tua madre. Grazie, Signore, per non lasciarci orfani”.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana