C’è una strana “attrazione fatale” per il mestiere di pastore in tutta la Bibbia, un favore che continua anche dopo il racconto della Rivelazione. Infatti, è impressionante il numero di pastorelli e pastorelle a cui è apparsa la Madonna in duemila anni. Se si dovesse stilare una classifica per mestiere, i veggenti che hanno visto la Vergine mentre stavano badando alle pecore battono di gran lunga tutti gli altri.
Si può quasi affermare che se le più recenti apparizioni mariane non riguardano ragazzini pastori è solo perché questa attività è quasi scomparsa, assorbita dall’industria dell’allevamento.
Il favore del Padreterno nei confronti del pastore comincia subito, già con Abele, figlio del primissimo uomo. E continua, giù giù, fino a culminare in Davide, che prima di essere unto re faceva, appunto, il pastore.
Il trionfo dei pastori, se così si può dire, si ha nel Vangelo, dove i pastori sono i primi ad essere avvertiti della Nascita del Salvatore, e ancora oggi chiamiamo «pastori» i personaggi dei nostri presepi, anche se raffigurano venditori di frutta o arrotini.
Il massimo si ha con Gesù Cristo che dice di se stesso di essere il Buon Pastore e, prima di dipartire, incarica Pietro di «pascere» i suoi «agnelli» e «pecorelle», dopo avere infarcito l’intero suo insegnamento di metafore pastorali («…vide che erano come pecore senza pastore…», «…non temere, piccolo gregge…», eccetera).
Ancora oggi i vescovi portano anelli e bastoni “pastorali”. I pastori del presepio, quelli a cui appaiono gli angeli e li invitano a verificare il «segno» del Bambino nella mangiatoia, sono, in effetti, beneficati ben più dei Magi, quantunque anche questi ultimi siano andati a rendere omaggio al Re dei Re.
Ma i Magi dovettero studiarseli, i segni, e solo in tre li interpretarono correttamente. Tuttavia, arrivarono molto dopo e, con la loro ingenuità, provocarono la strage degli innocenti.
Invece, per i pastori si scomodò l’intera corte celeste, prova ulteriore del superno favor pastoris di cui si è detto.
Qualcuno, però, ha arricciato il naso: non è possibile che dei pastori, in pieno inverno, passassero la notte all’aperto. Perciò, o l’episodio è falso o Cristo è nato d’estate.
Non basta, dicono alcuni: il Natale al 25 dicembre è un’invenzione della Chiesa per “battezzare” la festa pagana del Sol Invictus che appunto il 25 dicembre ricorreva.
Non so quante volte abbiate sentito (e letto) anche voi questa storia, ma io ne ho già le tasche piene di vederla rispuntare ogni volta come se fosse una novità. Dunque, senza sperare di giustiziarla definitivamente, vediamo di metterci almeno un punto fermo.
Secondo il Talmud, le pecore andavano classificate in tre categorie in base alla loro “purità” o assenza di “difetti”, cioè: senza macchia (per questo Cristo è l’«agnello senza macchia»), con qualche macchia, interamente macchiate o addirittura nere.
Solo le prime potevano entrare in città, le seconde avevano il permesso di stare a ridosso della mura, ma le terze dovevano stare rigorosamente fuori.
Ecco dunque i pastori di Betlemme, i quali non solo erano di per sé il ceto sociale più disprezzato dalla società israelitica per via delle loro rozzezza e ignoranza, ma addirittura pascolavano pecore imperfettissime, magari nere (forse da qui il detto popolare in voga ancora oggi e riguardante la c.d. «pecora nera»?).
Il Vangelo dice che vegliavano il loro gregge «a turno», cosa che ha senso solo se si sta in un freddo boia, dunque d’inverno, e quando le notti sono lunghissime (d’estate sono corte e tiepide).
Ma torniamo a loro. Gente che non aveva studiato, che non poteva nemmeno permettersi l’ingresso nelle città.
La Nascita del Dio Incarnato si sarebbe svolta senza alcuna presenza (e magari soccorso, in latte, cibo e panni caldi) se qualcuno o qualcosa non avesse avvisato i circostanti. Di quelli di città non c’era da fidarsi (infatti, sappiamo cosa fece Erode), i Magi e il loro corteo sarebbero arrivati con gran ritardo. C’erano solo quei pastori, in zona, e per loro ci volevano gli effetti speciali angelici. E così fu.
Sì, va bene – direte voi – ma perché proprio il 25 dicembre? Be’, non rivelo nulla di nuovo agli addetti ai lavori (se ne sono occupati con ricchezza di particolari, per esempio, Antonio Socci nel suo libro Rizzoli su Gesù e perfino il quindicinale “Sì sì, no no”), ma non c’è niente di più inedito del già detto, come ha sostenuto qualcuno.
Ebbene, tra i famosi rotoli del Mar Morto ce n’è uno che fa al caso nostro. Ricordo che nel 1947 nelle grotte di Qumran, zona del Mar Morto, furono rinvenute parecchie anfore contenenti manoscritti che risalivano, presumibilmente, agli anni 70 dopo Cristo.
Molto probabilmente la scuola religiosa ebraica degli Esseni, i cui insegnamenti erano molto vicini a quelli di Gesù, li aveva nascosti per salvarli dalla guerra allora in corso e che terminò con la distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani.
Tra questi manoscritti fu trovato, anni fa, un frammento attribuito al Vangelo di Marco, frammento che divenne famoso e suscitò polemiche perché retrodatava moltissimo la composizione dei Vangeli, quasi fossero veri resoconti giornalistici di testimoni oculari.
Ciò mandava a gambe levate la teoria, molto in voga fino a quel momento, dei Vangeli come elaborazione tarda della comunità cristiana (che, perciò, li avrebbe riempiti di fantasie, aspirazioni, speranze e, in una parola, illusioni).
Tra i manoscritti e papiri di Qumran, alcuni quasi integri, ce n’è uno che riporta i turni delle ventiquattro classi di sacerdoti che prestavano il loro servizio settimanale al Tempio.
Ora, noi sappiamo dal Vangelo che Zaccaria, padre di Giovanni il Battista, apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando toccò a lui di entrare nel Santo dei Santi gli apparve l’arcangelo Gabriele, il quale gli predisse la nascita insperata di un figlio.
Ebbene, è stato calcolato che la classe di Abia aveva due turni di servizio, uno dal 24 al 30 marzo e l’altro dal 24 al 30 settembre. Se si aggiungono nove mesi a quest’ultimo periodo, arriviamo all’incirca al 24 giugno, giorno in cui la Chiesa da sempre ricorda la nascita del Battista.
Sempre dal Vangelo sappiamo che lo stesso arcangelo si presenta successivamente a Maria di Nazareth e le dice che sua cugina Elisabetta è incinta di sei mesi. Sei mesi dal 24 giugno e si arriva al 25 dicembre. Da qui sono state calcolate tutte le altre date della storia del Redentore, come quella dell’Annunciazione- Incarnazione il 25 marzo.
È vero, la classe sacerdotale di Zaccaria prestava servizio anche a fine marzo, ma noi abbiamo dedotto che i nostri pastori di pecore nere vegliavano d’inverno, ed è incrociando tutti i dati e le informazioni che si fanno le indagini.
Certo, a duemila anni di distanza è normale che uno possa cominciare a dubitare, ma per tutte queste date e ricorrenze c’è un criterio che, se non è infallibile, è quello che è più vicino di tutti alla certezza: l’antichità.
La Chiesa tramanda da sempre la testimonianza oculare e auricolare di chi c’era, Apostoli e Discepoli.
Non dimentichiamo che Giovanni l’Evangelista, l’unico Apostolo che morì nel suo letto, visse fino a tarda età e che fu lui ad accogliere nella sua casa la Madonna quando Cristo morì in croce.
Dunque, aveva informazioni sulla nascita di Gesù di primissima mano e le tramandò ai suoi personali discepoli (il che ci porta già al II secolo).
Queste testimonianze, per sicurezza, vennero messe per iscritto solo quando il numero dei cristiani era diventato così ampio e disperso da rendere necessario un supporto cartaceo (diremmo oggi), da tramandare con precisione e atto a essere copiato, trasportato, spedito.
Perciò, più antico è un racconto concernente Gesù e più è vicino alla fonte. Dunque, più vicino alla verità. E la Chiesa ha sempre festeggiato il Natale il 25 dicembre, fin dai suoi inizi.
Per quanto riguarda, infine, il Sol Invictus, non è stata la Chiesa a cristianizzare una ricorrenza pagana, bensì il contrario; si trattò infatti di un tentativo di paganizzare un giorno importante per i cristiani.
Fu l’imperatore Eliogabalo il primo a introdurre il culto del Sol Invictus in Roma, da celebrarsi nel solstizio d’inverno. Ma si era già nel III secolo. Il primo tempio dedicato alla nuova divinità fu opera di Aureliano, nel 274.
A calcare la mano in senso appositamente anticristiano fu poi Giuliano l’Apostata, nel suo tentativo di ripristinare il paganesimo nell’impero. Ma sappiamo com’è andata a finire.
Rino Cammilleri
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 20 – 21