La Corte dei Conti e l’8 per mille alla Chiesa cattolica

La Corte dei Conti fa i conti in tasca alla Chiesa Cattolica. La materia del contendere è la gestione dell’8 per mille. In una delibera del 23 ottobre, ma resa nota solo pochi giorni fa, la Corte dei Conti – forse andando un poco al di là delle sue competenze – mette in luce alcune criticità del sistema dell’8 per mille.

Commentiamone qualcuna, citando alcuni passaggi di un comunicato stampa della Corte stessa. «I beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata. Su ciò non vi è un’adeguata informazione, benché coloro che non scelgono siano la maggioranza e si possa ragionevolmente essere indotti a ritenere che solo con un’opzione esplicita i fondi vengano assegnati», scrivono i giudici all’inizio del documento.

Come è noto l’8 per mille è una quota di imposta sui redditi soggetti IRPEF che lo Stato italiano distribuisce, a seconda delle scelte indicate nella dichiarazione dei redditi, a se stesso, alla Chiesa Cattolica e a circa una decina di confessioni religiose che hanno stipulato con lo Stato un’intesa.

La quota dell’8 per mille di quei cittadini che decidono di non effettuare nessuna opzione viene ripartita ai soggetti beneficiari in base alla proporzione delle scelte effettuate.

La Chiesa Cattolica è da sempre stata il soggetto più scelto dai contribuenti – negli ultimi anni siamo intorno all’82% delle preferenze – e di conserva riceve la quota maggiore di 8 per mille anche da parte di coloro i quali non hanno effettuato nessuna opzione.

Ora la Corte dei Conti critica il fatto che la maggior parte dei finanziamenti arrivano da chi si è astenuto da alcuna scelta e quindi implicitamente critica che così tanti soldi vadano alla Chiesa, grazie anche a quei cittadini che magari non avevano proprio intenzione di darle uno spiccio.

La critica va girata proprio a questi contribuenti distratti o pigri. Sta a loro – e non certo alla Chiesa – essere più accorti e meno passivi nella scelta della destinazione della loro quota contributiva.

Giusto invece il richiamo dei giudici a far sapere a tutti che chi non sceglie elargisce comunque denaro a tutti i soggetti destinatari dell’8 per mille in proporzione alle scelte fatte dagli altri contribuenti.

Proseguiamo nella lettura del comunicato stampa: «la possibilità di accesso all’8 per mille per molte confessioni è oggi esclusa per l’assenza di intese, essendosi affermato un pluralismo confessionale imperfetto».

Tutte le confessioni religiose possono stipulare intese con lo Stato e beneficiare dunque dell’8 per mille. Chiaro è che per essere considerati “confessioni religiose” e per poter stipulare un’intesa con lo Stato italiano i soggetti che vogliono accedere a questi fondi devono soddisfare alcuni criteri di carattere giuridico ben disciplinati dalla legge e validi per tutti.

In parole povere: un’associazione animista non potrebbe avere le carte in regola per stipulare un’intesa con lo Stato.

 

Torniamo ancora al comunicato: «Manca trasparenza sulle erogazioni: sul sito web della Presidenza del Consiglio dei Ministri, infatti, non vengono riportate le attribuzioni alle confessioni, né la destinazione che queste danno alle somme ricevute».

Le orecchie bisogna tirarle al Governo non certo alla Chiesa italiana la quale, ad esempio, nel 2013 ha elencato in modo dettagliato in 11 voci la destinazione delle somme ricevute. Tale ripartizione dei fondi è facilmente consultabile da tutti perché è reperibile on line.

Poi i Magistrati chiamano sul banco degli imputati proprio la Cei: «Non ci sono verifiche sull’utilizzo dei fondi erogati nonostante i dubbi sollevati dalla Parte governativa della Commissione paritetica Italia Cei su alcune poste e sulla ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi , né controlli sulla correttezza delle imputazioni degli optanti, né un monitoraggio sull’agire degli intermediari».

In buona sostanza la Corte dei Conti ci sta dicendo che questi soldi non si sa bene che fine hanno fatto. Tu Cei puoi anche scrivere nero su bianco che hai destinato tot per scopi caritativi ma io Stato come faccio a sapere se ciò è vero?

La critica può avere benissimo un suo fondamento: trasparenza e chiarezza di gestione di soldi pubblici – perché tali sono – non dovrebbero mai mancare nemmeno in seno alla Conferenza episcopale. L’obiezione seppur legittima della Corte appare però strumentale ad attaccare la Chiesa nel suo complesso.

 

A questo proposito è bene ricordare perché esiste l’8 per mille. Le sue radici affondano nei Patti Lateranensi del 1929 i quali, tra le altre cose, prevedevano che lo Stato italiano pagasse al clero lo stipendio, meccanismo chiamato Congrua, come una sorta di risarcimento danni allo Stato Pontificio per la confisca da esso subito dei suoi beni ecclesiastici.

Risarcimento che naturalmente riguarda solo la Chiesa Cattolica. Un secondo motivo dell’esistenza dell’8 per mille sta nel fatto che la Chiesa italiana da una parte svolge un’infinità di servizi pubblici – scuole, ospedali, servizi sociali, interventi caritativi, etc. – che ricadrebbero sulle spalle e sulle casse dello Stato se non ci fosse la Chiesa a farlo. Dall’altra svolge quelle attività di culto che buona parte dei cittadini italiani richiede.

In merito infine al fatto che l’Italia sia affetta da “pluralismo confessionale imperfetto” occorre ricordare solo qualche semplice fatto. L’Italia da duemila anni è culla del cristianesimo ed ospita la sede di Pietro. Tutta la sua cultura affonda le radici nel cattolicesimo. Ovvio che la maggior parte dei cittadini si senta legata alla Chiesa cattolica ed è altrettanto ovvio che lo Stato italiano nel passato abbia stretto peculiari vincoli di carattere giuridico solo con la Santa Sede.

Le altre confessioni religiose non potendo vantare un simile peso nella società italiana non possono pretendere uguale trattamento. L’“imperfezione pluralistica confessionale” riflette perciò la realtà dei fatti: la maggior parte degli italiani si sente cristiana. L’egualitarismo confessionale sarebbe dunque un’offesa al popolo italico.

E quindi domandiamoci: forse che per la materia religiosa non deve valere il principio democratico? Forse che non vogliamo rispettare la volontà di quell’82% di cittadini che hanno voluto destinare il proprio contributo alla Chiesa cattolica?

 

Tommaso Scandroglio