Usa, addio ai vescovi guerrieri: così cambia la Chiesa – di Andrea Tornielli

Pope Names Blase Cupich As New Archbishop Of ChicagoIl nuovo volto della Chiesa americana ha i lineamenti di Blase Joseph Cupich, classe 1949, nato a Omaha, in Nebraska, insieme ai suoi otto fratelli, in una famiglia di origini croate. Francesco l’ha inaspettatamente nominato alla guida della diocesi di Chicago, con i suoi 2,3 milioni di fedeli la terza degli Stati Uniti.

Il suo arrivo sulla cattedra dell’influente cardinale wojtyliano Francis George, settantasettenne e gravemente ammalato, è il segno di un significativo cambiamento di rotta rispetto agli ultimi decenni, che avevano visto designati ai vertici dell’episcopato Usa vescovi «cultural warriors», «guerrieri» impegnati in aspre battaglie pubbliche «pro life» e contro le unioni gay, molto meno sui temi dell’immigrazione, della giustizia sociale, della pace, delle conseguenze create da quella che Francesco nell’«Evangelii gaudium» ha chiamato un’economia «che uccide».

Cupich, definito dal direttore del U.S. Catholic Magazine Bryan Cones «il vescovo che può parlare senza urlare», quando era vescovo di Rapid City aveva trasformato il locale «comitato pro-life» in «comitato per la giustizia sociale»: non aveva cessato di diffondere il messaggio contrario all’aborto, ma aveva ampliato lo spettro dei suoi interventi chiedendo una riforma dell’immigrazione e interessandosi dei poveri.

Le differenze di approccio tra l’episcopato degli Stati Uniti e Papa Francesco sono diventate ancora più evidenti in occasione del Sinodo sulla famiglia, così da far dire al vaticanista del Boston Globe, John Allen, che la «luna di miele» tra la Chiesa Usa e il Papa è finita.

Tra le dichiarazioni dei prelati non presenti all’assemblea sinodale, hanno fatto scalpore quelle pubblicate sul sito web della diocesi di Providence dal vescovo Thomas Tobin: «Il concetto di avere un corpo rappresentativo della Chiesa che vota su applicazioni dottrinali e soluzioni pastorali mi colpisce come qualcosa piuttosto protestante». Tobin, sostiene che oggi «la Chiesa rischia di perdere la propria voce coraggiosa, contro-culturale e profetica».

E l’arcivescovo di Philadelphia, Charles J. Chaput, riferendosi alle «distorsioni» dei media, ha detto che «l’immagine pubblica» del Sinodo ha creato «confusione», e «la confusione è del diavolo».

Uno dei protagonisti non soltanto mediatici del Sinodo è stato il cardinale curiale statunitense Raymond Leo Burke, Prefetto della Segnatura apostolica, in procinto per sua stessa ammissione di lasciare l’incarico: ha tuonato contro l’idea stessa di discutere dei sacramenti ai divorziati risposati, e si è lamentato pubblicamente per il fatto che il Francesco non si sia espresso in merito, lasciando libertà di discussione: «Non posso parlare per il Papa e non posso dire quale sia la sua posizione a questo riguardo, ma la mancanza di chiarezza sulla questione ha fatto senza dubbio molto danno».

Tra i critici verso le aperture, all’interno del Sinodo, si è segnalato anche il cardinale di New York, Timothy Dolan. E fa discutere un commento dell’editorialista cattolico conservatore del New York Times, Ross Douthat, secondo il quale Papa Bergoglio starebbe portando la Chiesa «nel precipizio».

«Negli ultimi decenni – spiega a La Stampa Massimo Faggioli, docente di teologia alla St. Thomas University di Minneapolis – la Chiesa americana era diventata molto più importante che in passato, nel rapporto con la politica e con l’economia. Ora l’approccio di Francesco e le sue parole su povertà e giustizia sociale stanno mettendo in discussione le posizioni dell’episcopato. Negli Stati Uniti chi cita e valorizza il Concilio Vaticano II oggi sembra di sinistra».

Il cattolicesimo nordamericano non è più soltanto quello estremamente polarizzato e talvolta ideologizzato, storicamente diviso fra conservatori e liberal, ma deve fare i conti con la crescente presenza di immigrati dall’America Latina e dall’Asia, che non si riconoscono in questo schema. «I vescovi Usa – osserva ancora Faggioli – oggi non rappresentano una buona parte della base cattolica».

Sono in molti a ritenere che, al di là delle differenti posizioni sui temi del Sinodo, uno dei punti di maggior frizione sia rappresentato dal fatto che Francesco sta mettendo in crisi la «santa alleanza» tra capitalismo e cristianesimo teorizzata dalle think tank cattoliche neocon.

Lo hanno dimostrato certe reazioni ai paragrafi sociali dell’«Evangelii gaudium». Appena ieri il cardinale uscente di Chicago, George, a questo proposito ha dichiarato: «Il Papa parla, a quanto pare, a partire dall’esperienza e dall’analisi dei sudamericani che credono che alcuni sono ricchi perché gli altri sono volutamente tenuti poveri». Ma il tentativo di «chiudere» il Papa nello schema geopolitico latinoamericano non fa i conti con la trasversalità del suo messaggio.

«Francesco parla al cuore di chiunque – ci spiega padre Thomas Rosica, nato negli Stati Uniti e residente in Canada, Chief Executive Officer del network televisivo cattolico Salt + Light e assistente per la lingua inglese della Sala Stampa vaticana – raggiunge tutti i fedeli, passando al di sopra degli episcopati.

E quando questo accade, sconvolge la leadership delle Chiese. Le parole del Papa non sono manipolabili. Le sue parole sui poveri e le sue critiche a una certa economia sono profondamente evangeliche e non vanno lette con le “lenti” o gli schemi vigenti nei singoli Paesi».

articolo pubblicato da Vatican Insider