All’udienza generale del 24 settembre 2014 Papa Francesco, interrompendo il ciclo di catechesi sulla Chiesa, ha voluto proporre una meditazione sul suo viaggio apostolico in Albania. Può darsi che il Papà sia consapevole che questo viaggio, cui attribuiva notevole importanza, sia passato in secondo piano nell’attenzione dei media rispetto all’attesa che circonda il Sinodo straordinario che si apre il mese prossimo e alle discussioni accese che hanno coinvolto diversi cardinali.
Tuttavia, ha voluto sottolineare il Pontefice, il viaggio in Albania conteneva due messaggi importanti per tutta la Chiesa.
Il primo riguarda i martiri. Sempre più spesso nel suo Magistero Papa Francesco parla del martirio come di una dimensione centrale e costitutiva della Chiesa. Nel linguaggio tipico delle sue omelie, a Santa Marta ha paragonato l’esperienza cristiana a un’insalata che è sempre servita con l’olio del martirio.
Il Papa, sulla scia di san Giovanni Paolo II, insiste sul fatto che il secolo dei martiri è stato il XX secolo, che da solo ha fatto più martiri di tutti i diciannove secoli precedenti nella storia della Chiesa. Secondo le statistiche più attendibili i cristiani uccisi nella loro fede fino all’anno 2000 sono stati infatti settanta milioni, di cui quarantacinque milioni nel XX secolo, in buona parte per colpa del comunismo.
Il Pontefice ha definito quello albanese un «regime ateo e disumano», e non ha tenuto di fare il nome dell’ideologia che lo ha ispirato nella sua furia omicida: il comunismo.
«Percorrendo il viale principale di Tirana che dall’aeroporto porta alla grande piazza centrale – ha raccontato Papa Francesco – ho potuto scorgere i ritratti dei quaranta sacerdoti assassinati durante la dittatura comunista e per i quali è stata avviata la causa di beatificazione.
Questi si sommano alle centinaia di religiosi cristiani e musulmani assassinati, torturati, incarcerati e deportati solo perché credevano in Dio. Sono stati anni bui, durante i quali è stata rasa al suolo la libertà religiosa ed era proibito credere in Dio, migliaia di chiese e moschee furono distrutte, trasformate in magazzini e cinema che propagavano l’ideologia marxista, i libri religiosi furono bruciati e ai genitori si proibì di mettere ai figli i nomi religiosi degli antenati».
La memoria dei martiri per il Papa è indispensabile. Non è una curiosità erudita, non è materia solo per i cultori di storia ma sta al centro di tutta la Chiesa. Il sangue dei martiri «non è stato versato invano» e «i martiri non sono degli sconfitti, ma dei vincitori: nella loro eroica testimonianza risplende l’onnipotenza di Dio».
Una Chiesa che non si lascia provocare dai martiri, che non capisce come l’esperienza del martirio sia costitutiva per la sua testimonianza alla verità, è una Chiesa che si isterilisce nella routine. «Anche oggi, come ieri, la forza della Chiesa non è data tanto dalle capacità organizzative o dalle strutture, che pure sono necessarie: la sua forza la Chiesa non la trova lì. La nostra forza è l’amore di Cristo!».
Un altro motivo per ricordare i martiri è che ce ne sono tanti ancora oggi. Ed è questo il secondo messaggio del viaggio apostolico. Se in altre occasioni il Papa ha ricordato che occorre intervenire per fermare l’«ingiusto aggressore» in casi come quello del cosiddetto Califfato, in Albania ha voluto sottolineare che occorre anche perseguire l’ideale di una convivenza pacifica tra le religioni.
Per quanto consapevole delle difficoltà, la Chiesa offre questa proposta di pacifica convivenza anche all’islam. Per le sue caratteristiche storiche, l’islam albanese – dominato da confraternite molto particolari e con una pratica religiosa piuttosto blanda – è stato insieme fragile di fronte alla persecuzione e più aperto di altri islam al dialogo con i cristiani.
Certo, l’esempio albanese non può essere immediatamente replicato altrove, ma dimostra – ha detto il Pontefice – che «la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile. Loro la praticano!».
Come già aveva fatto in Corea – il Papa va insistendo sempre di più su questo punto, smentendo chi pensava che la critica del relativismo fosse andata in pensione insieme a Benedetto XVI – Francesco, anche nella rapida sintesi del viaggio in Albania offerta nell’udienza, si è preoccupato dj precisare che «un dialogo autentico e fruttuoso rifugge dal relativismo e tiene conto delle identità di ciascuno.
Ciò che accomuna le varie espressioni religiose, infatti, è il cammino della vita, la buona volontà di fare del bene al prossimo, non rinnegando o sminuendo le rispettive identità». «Dialogo» non deve diventare una parola insidiosa attraverso cui passano il relativismo e la svendita della propria identità.
Il «popolo-martire» dell’Albania – martire del disumano odio comunista – è insieme il popolo di uno speciale dialogo fra cristiani e musulmani, preparato dalle caratteristiche dell’islam albanese, forgiato dalle persecuzioni patite insieme da parte di un regime che aggrediva tutte le religioni, e maturato nelle iniziative degli ultimi anni.
Che vanno però proseguite, ha detto il Papa, tenendo conto che nel migliore dei dialoghi può presentarsi l’insidia del sincretismo e del relativismo. E che il modo migliore di combattere questa insidia è ricordare che al centro della Chiesa stanno i martiri, che per la loro identità cristiana hanno dato la vita, e che in tante parti del mondo sono ancora uccisi oggi.
articolo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana