Va be’, l’ultima citazione è del focoso Girolamo Savonarola; però le prime sono di due santi irreprensibili, nell’ordine Pier Damiani e Caterina da Siena. E tutte si riferiscono comunque a preti: come a voler dimostrare che l’anticlericalismo più vero e antico è nato in chiesa. O almeno questa è la tesi di un libretto che pretende di raccogliere «duemila anni di linguaggio anticlericale nelle parole dei santi», è firmato da un giornalista cattolico (Paolo Gambi) ed è pubblicato da una delle giovani editrici più ortodosse e persino tradizionaliste: la veronese Fede & Cultura. Titolo del pamphlet, che si propone di «risvegliare l’antica veemenza del linguaggio dei santi per combattere le brutture che si annidano negli ambienti ecclesiastici»: Quello che i preti non dicono (più) (pp. 154, euro 11).Il beato Rosmini si scaglia contro i regimi concordatari. Il dottore della Chiesa sant’Ilario di Poitiers ammonisce i vescovi a guardarsi dai potenti troppo amichevoli. Clemente Romano, quarto Papa, accusa il suo clero di essere fannullone. San Gerolamo, il traduttore della Bibbia in latino, prende in giro la vanità dei preti del suo tempo… Certo non sono tenere, le voci dell’«anticlericalismo cattolico»! E lasciamo pur perdere certe definizioni addirittura offensive scagliate contro taluni prelati, per esempio da sant’Antonio da Padova («mercenari», «predatori», «discepoli dell’anticristo»), da Brigida di Svezia («demoni» e «nemici») o dalla già citata Caterina da Siena («templi del diavolo»)… È solo con la Controriforma che tali durissimi accenti si attenuano, certo per un generale miglioramento della situazione morale del clero, ma pure a causa di un’apologetica che si rivolgeva ormai essenzialmente ai «nemici» esterni piuttosto che ai mali di casa.
Ma resiste comunque, ed è tuttora utilissimo, un anticlericalismo «sano». Non per nulla l’ultimo capitolo del libello è dedicato a Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, autore di non pochi testi che – pur non sposando il genere dell’invettiva – certo non difettano di sferzate in proposito: «La Chiesa è divenuta per molti l’ostacolo principale alla fede… Anche nella Chiesa molti di coloro ai quali è stata conferita una responsabilità lavorano per se stessi e non per la comunità… Quanta sporcizia c’è nella Chiesa e proprio anche tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Cristo».
Forte di tale sostegno, dunque, l’autore pone anzitutto una distinzione: «All’interno della Chiesa ci sono quelli che la criticano perché la odiano. E ci sono quelli che la criticano perché la amano. Questi sono i cattolici anticlericali che ci interessano». Poi lancia una proposta: «Recuperiamo la parola “anticlericale”, riconquistiamola dall’esclusività a cui il mondo laicista l’ha condannata, e facciamola nostra… Vorremmo che preti e laici si coalizzassero per combattere il clericalismo, quella terribile piaga che svuota le chiese, impoverisce gli animi, accieca gli uomini. E per combatterlo non possono che finire per divenire anticlericali. Rimanendo cattolici. Anzi, divenendo cattolici con maggiore sincerità».
In che modo? «Parliamo a voce più alta – propone ancora Gambi –. Stronchiamo l’orrendo vizio di mantenere tutto nascosto nei segreti delle sagrestie, dove la coscienza ammuffisce, la dignità marcisce e la verità langue. Combattiamo con gli strumenti e le forze che ci sono date le storture del clericalismo che affligge la nostra Chiesa». E se qualche parroco non fosse d’accordo, si può sempre sfoggiare un’ultima inattaccabile citazione: «Anch’io sono un anticlericale perché mi piace che il clero rimanga clero, che non cerchi di imbrogliare, che si limiti alla sua missione spirituale». Chi l’ha detto? Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei e santo.
Roberto Beretta
Fonte: Avvenire