Durante l’incontro con il Presidente, il Governo, le altre Autorità e il Corpo Diplomatico presso il Palazzo Presidenziale a Seoul, Papa Francesco ha tenuto il suo primo discorso ufficiale in Corea.
Questo il testo integrale:
Signora Presidente,
Onorevoli Membri del Governo e Autorità civili,
Illustri Membri del Corpo Diplomatico,
Cari amici,
È una grande gioia per me venire in Corea, la “terra del calmo mattino”, e fare esperienza non solamente della bellezza naturale del Paese, ma soprattutto della bellezza della sua gente e della sua ricchezza storica e culturale.
Questa eredità nazionale è stata messa alla prova nel corso degli anni dalla violenza, dalla persecuzione e dalla guerra.
Ma nonostante queste prove, il calore del giorno e l’oscurità della notte hanno sempre dato luogo alla calma del mattino, cioè ad un’immutata speranza di giustizia, pace e unità.
Che grande dono è la speranza! Non possiamo scoraggiarci nel perseguimento di queste mete che non vanno solo a beneficio del popolo coreano, ma dell’intera regione e del mondo intero.
Desidero ringraziare la Presidente, Signora Park Geun-hye, per il suo cordiale benvenuto.
Saluto lei e gli illustri membri del Governo. Vorrei anche ringraziare i membri del Corpo Diplomatico e tutti i presenti che con i loro sforzi hanno dato il loro contributo nella preparazione della mia visita. Sono molto grato per la vostra ospitalità, che mi ha immediatamente fatto sentire a casa fra di voi.
La mia visita in Corea avviene in occasione della VI Giornata Asiatica della Gioventù, che raduna giovani cattolici da tutto questo vasto continente per una gioiosa celebrazione della fede comune.
Nel corso della mia visita inoltre proclamerò beati alcuni coreani che morirono martiri per la fede cristiana: Paul Yun Ji-chung e i suoi 123 compagni. Queste due celebrazioni si completano a vicenda.
La cultura coreana ben comprende la dignità e saggezza proprie degli anziani e onora il loro ruolo nella società.
Noi cattolici rendiamo onore agli antenati che hanno subito il martirio per la fede, perché sono stati pronti a donare la vita per la verità in cui hanno creduto e in conformità alla quale hanno cercato di vivere. Essi ci insegnano a vivere pienamente per Dio e per il bene del prossimo.
Un popolo grande e saggio non si limita ad amare le sue antiche tradizioni, ma valorizza anche i giovani, cercando di trasmettere loro l’eredità del passato e di applicarla alle sfide del tempo presente.
Tutte le volte che i giovani si riuniscono, come in questa circostanza, è una preziosa opportunità offerta a tutti noi per porci in ascolto delle loro speranze e delle loro preoccupazioni.
Siamo anche chiamati a riflettere sull’adeguatezza del modo di trasmettere i nostri valori alle future generazioni e su quale tipo di società ci stiamo preparando a consegnare loro. In questo contesto, ritengo sia particolarmente importante per noi riflettere sulla necessità di trasmettere ai nostri giovani il dono della pace.
Questo appello ha un significato del tutto speciale qui in Corea, una terra che ha sofferto lungamente a causa della mancanza di pace.
Esprimo il mio apprezzamento per gli sforzi in favore della riconciliazione e della stabilità nella penisola coreana e incoraggio tali sforzi, che sono l’unica strada sicura per una pace duratura.
La ricerca della pace da parte della Corea è una causa che ci sta particolarmente a cuore perché influenza la stabilità dell’intera area e del mondo intero, stanco della guerra.
La ricerca della pace rappresenta anche una sfida per ciascuno di noi e in particolare per quelli tra voi che hanno il compito di perseguire il bene comune della famiglia umana attraverso il paziente lavoro della diplomazia.
Si tratta della perenne sfida di abbattere i muri della diffidenza e dell’odio promuovendo una cultura di riconciliazione e di solidarietà. La diplomazia, infatti, come arte del possibile, è basata sulla ferma e perseverante convinzione che la pace può essere raggiunta mediante il dialogo e l’ascolto attento e discreto, piuttosto che attraverso reciproche recriminazioni, critiche inutili e dimostrazioni di forza.
La pace non è semplicemente assenza di guerra, ma opera della giustizia (cfr Is 32,17). E la giustizia, come virtù, fa appello alla tenacia della pazienza; essa non ci chiede di dimenticare le ingiustizie del passato, ma di superarle attraverso il perdono, la tolleranza e la cooperazione.
Essa esige la volontà di discernere e di raggiungere obiettivi reciprocamente vantaggiosi, costruendo le fondamenta del mutuo rispetto, della comprensione e della riconciliazione. Auspico che tutti noi possiamo dedicarci alla costruzione della pace, alla preghiera per la pace, rafforzando il nostro impegno per realizzarla.
Cari amici, i vostri sforzi come leaders politici e civili sono in ultima analisi diretti a costruire un mondo migliore, più pacifico, più giusto e prospero, per i nostri figli. L’esperienza ci insegna che in un mondo sempre più globalizzato, la nostra comprensione del bene comune, del progresso e dello sviluppo deve in definitiva essere non solo di carattere economico ma anche umano.
Come la maggior parte delle nazioni sviluppate, la Corea si confronta con rilevanti problematiche sociali, divisioni politiche, diseguaglianze economiche e preoccupazioni in ordine alla gestione responsabile dell’ambiente. Com’è importante che la voce di ogni membro della società sia ascoltata, e che venga promosso uno spirito di aperta comunicazione, di dialogo e di cooperazione!
E’ ugualmente importante che sia data speciale attenzione ai poveri, a coloro che sono vulnerabili e a quelli che non hanno voce, non soltanto venendo incontro alle loro immediate necessità, ma pure per promuoverli nella loro crescita umana e spirituale.
Nutro la speranza che la democrazia coreana continuerà a rafforzarsi e che questa nazione dimostrerà di primeggiare anche in quella “globalizzazione della solidarietà” che è oggi particolarmente necessaria: quella solidarietà che ha come obiettivo lo sviluppo integrale di ogni membro della famiglia umana.
Nella sua seconda visita in Corea, venticinque anni fa, san Giovanni Paolo II manifestò la sua convinzione che «il futuro della Corea dipenderà dalla presenza in mezzo al suo popolo di molti uomini e donne saggi, virtuosi e profondamente spirituali» (8 ottobre 1989).
Facendo eco a queste parole, oggi vi assicuro del costante desiderio della comunità cattolica coreana di partecipare pienamente alla vita della nazione. La Chiesa desidera contribuire all’educazione dei giovani, alla crescita di uno spirito di solidarietà verso i poveri e i disagiati e contribuire alla formazione di giovani generazioni di cittadini, pronti ad offrire la saggezza e la lungimiranza ereditate dai loro antenati e nate dalla loro fede, per affrontare le grandi questioni politiche e sociali della nazione.
Signora Presidente, Signore e Signori, vi ringrazio ancora una volta per il vostro benvenuto e la vostra ospitalità. Il Signore benedica voi e l’amato popolo coreano. In modo speciale, il Signore benedica gli anziani e i giovani che, preservando la memoria e infondendoci coraggio, sono il nostro più grande tesoro e la nostra speranza per il futuro.
Fonte: il sito di Radio Vaticana