Cristiani perseguitati: nel mondo un morto ogni 5 minuti

Balza alle cronache ogni giorno di più il diffondersi di gruppi islamici in Africa e in Medio Oriente – dal Sudan, alla Nigeria, passando per l’Iraq fino alla Siria – che con violenza cercano di imporre un regime che rinnega democrazia e libertà religiosa e che perseguita i cristiani. In alcuni casi, i cristiani divengono vittime in quanto coinvolti in conflitti tribali per i quali rifiutano di imbracciare le armi.

Ci sono discriminazioni forti anche in altre aree della ex “primavera araba”, come Tunisia, Libia, Egitto. Ma la persecuzione contro i cristiani non riguarda solo i Paesi dove è sempre più crescente l’influenza islamica.

Resta alta in Paesi ex comunisti – come Corea del Nord, Vietnam – ma anche in altri Paesi, come Eritrea, Kenya o Colombia, di cui si parla molto meno. Fausta Speranza ha intervistato Massimo Introvigne, docente di Sociologia delle religioni alla Pontificia Università di Torino:

R. – Le statistiche sulla persecuzioni dei cristiani sono controverse, ma non c’è dubbio che i cristiani siano la minoranza più perseguitata nel mondo. Possiamo effettivamente arrivare alla cifra di 100-105 mila cristiani uccisi per ragioni di fede e di coscienza ogni anno, cioè un morto ogni cinque minuti.

D. – Questi sono i casi dei martiri che perdono la vita. Ma ci sono tante vessazioni, persecuzioni, difficoltà nel quotidiano proprio nell’accedere alle funzioni o altro in diversi Paesi. È così?

R. – Sì. In un incontro con il Corpo diplomatico, Benedetto XVI ricordò che il 75% delle discriminazioni religiose nel mondo riguardano i cristiani e Papa Francesco ci ha detto più volte che i cristiani oggi sono in una situazione peggiore rispetto ai tempi delle persecuzioni dei primi secoli. Grosso modo, ci sono quattro aree di difficoltà.

La prima riguarda alcuni Paesi a maggioranza islamica: comprendono i casi che sono sotto gli occhi di tutti in questi giorni, sia quando si tratta di governi che discriminano, sia quando si tratta di organizzazioni private, terroristiche, come avviene in Nigeria o in Iraq. Ci sono poi ancora Paesi con regimi totalitari di origine comunista, pensiamo alla Corea del Nord, di cui finalmente si sono occupate anche recentemente le Nazioni Unite.

 

D. – Poi, ci sono Paesi di cui sappiamo poco. Per esempio, in Eritrea sappiamo che ci sono grandi difficoltà ma non abbiamo informazioni. È così?

R. – Sì. Dell’Eritrea sappiamo poco nonostante il benemerito lavoro di alcune ong cristiane. Sappiamo poco della Somalia e, come dicevo, della Corea del Nord.

D. – Un altro Paese segnalato dall’organizzazione statunitense “Open the doors”, che si occupa di persecuzione dei cristiani, è la Colombia. Di solito, dell’America Latina non si parla in relazione alle persecuzioni e discriminazioni nei confronti dei cristiani. Sa qualcosa di questo Paese?

R. – Sì. In Colombia dobbiamo distinguere fra diversi tipi di fenomeno. Prima di tutto, ci sono zone che sono praticamente controllate da narcotrafficanti che trovano l’opposizione più ferma dei cristiani, spesso anche da parte di cattolici, che sono poi perseguitati e qualche volta uccisi dai trafficanti di droga per la loro fermissima opposizione al narcotraffico.

“Open the doors”, che è un’organizzazione protestante, credo si sia occupata anche del fatto che tra il governo colombiano, ma direi soprattutto tra i media colombiani e alcune organizzazioni protestanti, ci siano stati degli scontri.

Gli scandali che sono stati sollevati nei confronti di queste organizzazioni forse sono stati creati ad arte per ragioni politiche. Esiste certamente anche questo problema, ma a me sembra che in Colombia il problema più grave e drammatico che ha provocato numerosi morti sia quello del narcotraffico e di forze terroristiche a esso legate. Per esempio, solo negli ultimi tre anni hanno ucciso dieci sacerdoti cattolici.

 

Testo proveniente  dal sito di Radio Vaticana