Papa Francesco. Omelia in S. Marta: i peccatori con i guanti bianchi

La porta di uscita dalla corruzione è la richiesta di perdono, il pentimento. Lo ha sottolineato Papa Francesco stamattina, martedì 17 giugno, tornando ad affrontare il tema della corruzione durante la messa celebrata nella cappella di Santa Marta.

«Quando noi leggiamo sui giornali — ha detto in proposito — che questo è corrotto, che quell’altro è un corrotto, che ha fatto reato di corruzione e che la tangente va di qua e di là, e anche tante cose di alcuni prelati», è «nostro dovere di cristiani chiedere perdono per loro», domandare al Signore che «dia loro la grazia di pentirsi, che non muoiano con il cuore corrotto».

Dunque «condannare i corrotti, sì; chiedere la grazia di non diventare corrotti, sì»; ma «anche pregare per la loro conversione!».

Il brano biblico proposto dalla liturgia che ha ispirato la riflessione del Pontefice è quello del martirio di Nabot, tratto dal primo libro dei Re (21, 17-29). In esso Francesco ha individuato tre aspetti «che farà bene meditare»: la definizione della corruzione, il destino dei corrotti e la possibilità che questi ultimi hanno di salvarsi.

Riguardo al primo, è lo stesso profeta Elia, protagonista del racconto, a dire «chiaramente cosa fa il corrotto» rivolgendosi al re Acab, responsabile della lapidazione di Nabot che si rifiutava di vendergli una vigna: «Hai assassinato e ora usurpi… Ti sei venduto!».

Infatti, ha commentato il vescovo di Roma, «il corrotto, quando entra in questa strada della corruzione, oggi fa una cosa, domani un’altra. Toglie la vita, usurpa e si vende, continuamente».

In pratica, ha aggiunto ricorrendo a un’immagine evocativa, «è come se lasciasse di essere una persona e diventasse una merce».

Anzi, il corrotto «è proprio una merce! Compra e vende: “Quest’uomo, sì, costa tanto: tu puoi comprarlo e puoi venderlo!”. Questa è la definizione: è una merce!».

Quanto al secondo aspetto — cosa farà il Signore con i corrotti — il Papa ha anzitutto ricordato le tre categorie indicate nell’omelia del giorno precedente: «il corrotto politico, il corrotto affarista e il corrotto ecclesiastico», spiegando che «tutti e tre facevano del male agli innocenti, ai poveri, perché sono i poveri che pagano la festa dei corrotti! Il conto va a loro».

Quindi, tornando alla questione del destino dei corrotti, ha evidenziato che è il Signore stesso a dire nella lettura odierna «chiaramente cosa farà: “Io farò venire su di te una sciagura e ti spazzerò via. Sterminerò ad Acab ogni maschio, schiavo o libero in Israele… Perché tu mi ha irritato e hai fatto peccare Israele!».

Infatti «il corrotto irrita Dio e fa peccare il popolo».

Per questo il Signore ricorre a espressioni forti nei confronti di Acab, archetipo di tutti i corrotti, quando Elia gli profetizza che «nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue!».

Non a caso, ha proseguito il Papa, «Maria, quando legge nel suo canto di lode la storia di salvezza, dice che il Signore disperde i potenti e rovescia i superbi». E il motivo lo ha spiegato Gesù stesso: «Ognuno di voi o qualcuno di voi che dà scandalo, sarebbe stato meglio per lui che lo buttassero in mare».

Proprio così: «il corrotto scandalizza, scandalizza la società, scandalizza il popolo di Dio».

E allora «il Signore è un po’ arrabbiato con i corrotti, perché scandalizzano, perché sfruttano quelli che non possono difendersi, schiavizzano». Come Acab, dunque, «il corrotto si vende per fare il male, ma lui non sa: lui crede che si vende per avere più soldi, più potere. Ma si vende per fare il male, per uccidere».

Certo, ha precisato Papa Francesco, «quando noi diciamo: “Quest’uomo è un corrotto; questa donna è una corrotta…”», dovremmo fermarci un po’ a riflettere, chiedendoci se abbiamo le prove di quanto affermiamo.

Perché, ha spiegato, «dire a una persona che è un corrotto o una corrotta, è dire questo; è dire che è condannata; è dire che il Signore l’ha cacciata via».

Ed essendo traditori, gente che ruba e che uccide, essi rischiano di incorrere nella «maledizione di Dio, perché hanno sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi; e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi le mani».

In ogni caso, esiste «una porta d’uscita per i corrotti». È la stessa lettura a proporla: «Quando sentì tali parole, Acab si stracciò le vesti, indossò un sacco sul suo corpo e digiunò. Si coricava con il sacco e camminava a testa bassa. Cominciò a fare penitenza».

Il Pontefice ha paragonato l’esperienza di Acab a quella di «quell’uomo tanto buono, ma che era caduto in corruzione: il santo Davide. “Ho peccato!”. E piangeva e faceva penitenza; si pentiva».

Dunque «chiedere perdono» è «la porta di uscita per i corrotti, per i corrotti politici, per i corrotti affaristi e per i corrotti ecclesiastici».

Infatti «al Signore piace questo»: perdona, ma lo fa «quando i corrotti fanno quello che ha fatto Zaccheo: “Ho rubato, Signore. Darò quattro volte quello che ho rubato!”». Da qui l’invito conclusivo a pregare per tutti i corrotti, chiedendo perdono per loro affinché ottengano «la grazia di pentirsi».

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