Ma che è, un’epidemia? Qualcuno ci spieghi, cortesemente, cosa diavolo sta succedendo. Non passa giorno, ormai, senza che un nuovo Lgbt occupi i giornali. Delle due, l’una: o sono i giornali che li vanno a cercare col lanternino e schiaffano in pagina con grande evidenza una notizia che prima avrebbero snobbato, o davvero stiamo assistendo a una trasformazione contagiosa.
Aveva dunque ragione il cantante austriaco con la barba lunga che si trucca e veste da donna, quando, nel ricevere il primo premio all’Eurofestival, gridò: «We are unstoppable»?
Davvero c’era una gran massa di Lgbt che premeva ai confini dell’impero per invadere tutto coi loro outing? O si tratta solo dell’esibizionismo di alcuni (tratto endemico e strutturale nella categoria) che poi i giornali provvedono a enfatizzare?
L’ultima è tutta italiana: un supplente di matematica e fisica che si presenta in classe abbigliato da femmina. E questo una volta era il Paese dei machos, che pure l’italiana Veronica Ciccone alias Madonna esaltava indossando magliette con la scritta «Italians do it better».
L’amante latino, rigorosamente etero, o è da considerarsi estinto o è solo demodé. Ma non crediamo, a questo punto, che sia solo questione di moda: davvero, deve essere successo qualcosa a livello antropologico e forse sarebbe il caso di passare la parola, a questo punto, ai genetisti.
È mutato qualcosa nel cibo, nell’aria inquinata, nei raggi cosmici? Qualcuno ci risponda, perché la razza italica nel mondo non è più rappresentata da Rodolfo Valentino, bensì da ben due governatori regionali e addirittura un premier (belga), tutti omo.
Il professore travestito di cui parlavamo è stato segnalato da «Il Piccolo» di Trieste, e Nino Materi l’ha ripreso sul «Giornale» il 31 maggio u.s., commentando l’affermazione del suddetto prof: «Vado ovunque vestito come mi sento di vestire».
Materi ha obiettato che la scuola non è «ovunque» e che un insegnante dovrebbe apparire credibile e autorevole.
Condividiamo, perché se il professore in questione si fosse proposto così conciato a un’azienda che opera a contatto col pubblico sarebbe stato gentilmente messo alla porta.
Ora, siccome la scuola pubblica italiana non è un’azienda interessata al profitto, ma è un baraccone mantenuto dal contribuente bue, la preside del liceo scientifico Oberdan fa pure l’indignata politicamente corretta: «Mi stupiscono le reazioni di alcuni genitori per la superficialità del giudizio».
Così, i genitori, cornuti e mazziati, pagano due volte e, se osano mettere bocca nell’educazione dei loro figli, vengono bacchettati come «superficiali».
Se la dirigente scolastica avesse letto Oscar Wilde (ma, come sa chi c’è stato, pretendere spessore culturale dagli operatori scolastici è, da tempo, tempo perso) saprebbe che «solo i superficiali non giudicano dalle apparenze».
Diceva il compianto papa Pio XII agli operatori della moda che «da come uno si veste si capisce che cosa sogna». Ora, che cosa sogna il supplente di Trieste è chiaro. Meno chiaro è perché nel dicembre scorso si sia sposato con una donna-donna.
È vero, le ha detto papale papale che «o mi accettava per com’ero o le nostre strade avrebbero preso direzioni diverse», ma lei «ha saputo accettare con grande intelligenza e affetto la mia decisione». Contenta lei…
Il nostro supplente non finisce, comunque, di sconcertare. Infatti, ha rinunciato ad adottare bambini (non può averne di suoi) perché ritiene «importante per una bambino la presenza di una figura materna e paterna», bontà sua.
In ogni caso, si dice certo che sarebbe in grado di «crescerlo meglio di molti genitori». Di questo non dubitiamo, visto che in giro ci sono, e ci sono sempre stati, papà che non fanno bene il loro mestiere.
Tuttavia, un figlio il cui papà si vestisse da donna avrebbe di certo qualche problema, se non in casa almeno a scuola, a giudicare dall’accoglienza ricevuta dal nostro supplente da parte dei liceali triestini: risate.
Epperò non ci sentiamo di puntare il dito contro il supplente, bensì contro la scuola, ormai popolata da docenti e presidi mediocri che assorbono, anzi anticipano, ogni moda e tendenza, basta che siano le più piatte e banali tra le correnti.
La scuola (tanto, paga Pantalone) “insegna”, per esempio, le pagine porno-gay dei romanzi contemporanei e zittisce, anzi insulta, quei genitori che osano dissentire.
L’andazzo cominciò con tutti quei sessantottini falliti che, non essendo riusciti a conquistarsi posti accademici e direzioni di quotidiani, confluirono nel calderone scolastico.
Così, per un preside, oggi, l’unica cosa che conta è la «professionalità» (leggi: titolo di studio e corretta posizione nella graduatoria, automatica, del precariato).
L’idea di dire a un aspirante supplente «sì, ma lei in classe ci va vestito in modo consono o non se ne fa niente» non lo sfiora nemmeno. Fiutato il vento (anche politico e giuridico), ha più paura delle organizzazioni Lgbt che dei genitori.
L’unica a questo punto è proporre un referendum teso ad abolire tout court la scuola statale. Ormai, produce solo ignoranza, conformismo (di sinistra) e mal esempio.
Rino Cammilleri
articolo pubblicato su La nuova Bussola Quotidiana