«Pace, amore e gioia» sono «le tre parole chiave» che Gesù ci ha affidato. A realizzarle nella nostra vita, non secondo i criteri del mondo, ci pensa lo Spirito Santo. Proprio all’autentico significato cristiano delle parole pace, amore e gioia Papa Francesco ha dedicato l’omelia della messa celebrata giovedì mattina, 22 maggio, nella cappella della Casa Santa Marta. Lo spunto è venuto dalla preghiera, proclamata all’inizio della celebrazione eucaristica:
«O Dio, che per la tua grazia da peccatori ci fai giusti e da infelici ci rendi beati, custodisci in noi il tuo dono», cioè lo Spirito Santo. Infatti, ha subito spiegato il Pontefice, in questa preghiera «abbiamo ricordato al Signore qual è stato il suo lavoro con noi: “Da peccatori ci fai giusti e da infelici ci rendi beati”».
Sì, ha affermato, è proprio «questo il lavoro che ha fatto Gesù» e noi oggi «lo ricordiamo con gratitudine». Ma, in più, gli chiediamo anche di «custodire il suo dono, il regalo che ci ha dato»: lo Spirito Santo. Tanto che non diciamo «custodisci noi» ma «custodisci il tuo dono».
È una questione importante perché, ha spiegato il Pontefice, «Gesù, nel discorso di congedo, negli ultimi giorni prima di andarsene in cielo, ha parlato di tante cose», ma sempre intorno allo stesso punto, rappresentato da «tre parole chiave: pace, amore e gioia».
Sulla prima, ha ricordato il Papa, «abbiamo riflettuto» già nella messa dell’altro ieri, convenendo che il Signore «non ci dà una pace come la dà il mondo, ci dà un’altra pace: una pace per sempre!».
Riguardo alla seconda parola chiave, «amore», Gesù, ha sottolineato il Papa, «aveva detto tante volte che il comandamento è amare Dio e amare il prossimo». E «ne aveva parlato anche in diverse occasioni» quando «insegnava come si ama Dio, senza gli idoli». E anche «come si ama il prossimo».
In sostanza Gesù racchiude tutto questo discorso nel «protocollo» al capitolo 25 del Vangelo di Matteo, «sul quale noi tutti saremo giudicati». Lì il Signore spiega come «si ama il prossimo».
Però nel passo evangelico proposto dalla liturgia di oggi (Giovanni 15, 9-11), «Gesù dice una cosa nuova sull’amore: non solo amate, ma rimanete nel mio amore». Infatti «la vocazione cristiana è rimanere nell’amore di Dio, cioè respirare e vivere di quell’ossigeno, vivere di quell’aria».
Dunque dobbiamo «rimanere nell’amore di Dio». E con questa affermazione il Signore «chiude la profondità del suo discorso sull’amore. E va avanti».
Ma com’è questo amore di Dio? Papa Francesco ha risposto con le stesse parole di Gesù: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi». Perciò, ha notato, è «un amore che viene dal Padre». E il «rapporto di amore tra Lui e il Padre» diventa «rapporto di amore fra Lui e noi».
Così, «a noi chiede di rimanere in questo amore che viene dal Padre». Poi «l’apostolo Giovanni andrà avanti — ha detto il Pontefice — e ci dirà anche come dobbiamo dare questo amore agli altri» ma la prima cosa è «rimanere nell’amore». E questa è, dunque, anche la «seconda parola» che ci lascia Gesù.
E come si rimane nell’amore? Di nuovo il Papa ha risposto all’interrogativo con le parole del Signore: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore».
Ecco: «custodire i comandamenti» è «il segno che noi rimaniamo nell’amore di Gesù». E, ha esclamato il Pontefice, «è una cosa bella questa: io seguo i comandamenti nella mia vita!». Bella a tal punto, ha spiegato, che «quando non rimaniamo nell’amore sono i comandamenti che vengono, da soli, dall’amore».
E «l’amore ci porta a compiere i comandamenti, così naturalmente» perché «la radice dell’amore fiorisce nei comandamenti» e i comandamenti sono «il filo conduttore» che lega, in «questo amore che viene», la catena che unisce il Padre, Gesù e noi.
La terza parola indicata dal Papa è «gioia». Ricordando l’espressione di Gesù riproposta nella lettura evangelica – «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» – il Pontefice ha evidenziato che proprio «la gioia è il segno del cristiano: un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato», la sua salute cristiana «non va bene».
E, ha aggiunto, «una volta ho detto che ci sono cristiani con la faccia da peperoncino in aceto: sempre con la faccia rossa e anche l’anima è così. E questo è brutto!». Questi «non sono cristiani!», perché «un cristiano senza gioia non è cristiano».
Per il cristiano, infatti, la gioia è presente «anche nel dolore, nelle tribolazioni, pure nelle persecuzioni». A questo proposito il Papa ha invitato a guardare alle martiri dei primi secoli — come le sante Felicita, Perpetua e Agnese — che «andavano al martirio come se andassero alle nozze». Ecco, allora, «la grande gioia cristiana» che «è anche quella che custodisce la pace e custodisce l’amore».
Tre parole chiave, dunque: pace, amore e gioia.
Bisogna, però, ha avvertito il Pontefice, comprenderne fino in fondo il vero significato. Non vengono infatti «dal mondo» ma dal Padre.
Del resto, ha spiegato, è lo Spirito Santo «che fa questa pace; che fa questo amore che viene dal Padre; che fa l’amore tra il Padre e il Figlio e che poi viene a noi; che ci dà la gioia». Sì, ha detto, «è lo Spirito Santo, sempre lo stesso: il grande dimenticato della nostra vita!».
E in proposito il Papa, rivolgendosi ai presenti, ha confidato di aver voglia di domandare, ma «non lo farò!» ha specificato, quanti pregano lo Spirito Santo. «No, non alzate la mano!» ha subito aggiunto con un sorriso; la questione, ha ripetuto, è che lo Spirito Santo è veramente «il grande dimenticato!». Ma è «Lui il dono che ci dà la pace, che ci insegna ad amare e ci riempie di gioia».
E, in conclusione, il Pontefice ha ripetuto la preghiera iniziale della messa, nella quale «abbiamo chiesto al Signore: custodisci il tuo dono!». Insieme, ha detto, «abbiamo chiesto la grazia che il Signore custodisca sempre lo Spirito Santo in noi, quello Spirito che ci insegna ad amare, ci riempie di gioia e ci dà la pace».
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