Lahore (AsiaNews) – Un tribunale di Lahore (nel Punjab) ha condannato a morte un cristiano per una (falsa) vicenda di blasfemia che, già lo scorso anno, aveva provocato pesanti scontri in città, con oltre 150 case e due chiese date alle fiamme in un raid dei fondamentalisti islamici. La sentenza di condanna ai danni di Sawan Masih è giunta al termine di un’udienza che si è tenuta ieri nel carcere in cui è custodito il giovane; per motivi di sicurezza le autorità hanno preferito evitare un processo pubblico in una comune aula di tribunale.
Per la polizia era alto il rischio che l’imputato fosse vittima di un attentato, lungo il tragitto che separa la prigione dalla Corte. In base all’art 295 C del Codice penale, il giudice aggiunto Chaudhry Ghulam Murtaza ha emesso la pena capitale per impiccagione e il pagamento di una multa di 200mila rupie (più di 2mila dollari).
Al contempo, la corte ha disposto il rilascio su cauzione per i responsabili – 83 in tutto – dell’attacco alla Joseph Colony di Lahore (clicca qui per vedere le foto), considerando il giovane cristiano quale unico imputato in una vicenda che ha scosso nel profondo l’opinione pubblica. I legali hanno già annunciato il ricorso in appello, sostenendo l’innocenza di Sawan Masih e l’infondatezza delle accuse.
Secondo la ricostruzione dei fatti, l’allora 26enne cristiano (nella foto) si era recato da un barbiere islamico per tagliarsi i capelli; tuttavia, il proprietario del negozio, Imran Shahid, si è rifiutato di servirlo. Tra i due è nata un’accesa discussione, e il musulmano avrebbe usato parole offensive sul cristianesimo. Insieme ad altre persone, Shahid è poi andato alla vicina stazione di polizia: il gruppo ha registrato contro Masih un’accusa di blasfemia (art. 295 C), sostenendo che il giovane era ubriaco e aveva insultato il profeta Maometto.
Poco dopo, le forze dell’ordine hanno arrestato il cristiano. Durante l’ondata di violenze divampate all’indomani della vicenda, ignoti hanno anche profanato il memoriale di Shahbaz Bhatti nella capitale.
Raggiunto da AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi, sottolinea che “è triste vedere comminata una condanna a morte con accuse palesemente false”.
Il prelato spiega che Sawan Masih non ha “grande cultura” e “non comprende nemmeno la natura delle incriminazioni e a suo carico”. Inoltre, l’attacco alla Joseph Colony “è un chiaro esempio dell’abuso perpetrato in nome delle leggi sulla blasfemia. Preghiamo per Sawan Masih e Asia Bibi – conclude il prelato – entrambi in attesa di giustizia. La prossima settimana terremo una giornata di preghiera per i perseguitati”.
P. Arshad John, della diocesi di Lahore, ha incontrato i legali della difesa e conferma che il giovane “è stato incastrato”, ma i giudici hanno “completamente ignorato i fatti e annunciato la condanna a morte per le pressioni degli estremisti”. In Pakistan “giustizia è negata”.
Anche la società civile è contraria alla sentenza come conferma Rizwan Paul, segretario generale della Masih Foundation and Life for All Pakistan. “Una incriminazione per blasfemia – commenta – equivale di per sé a una sentenza di condanna. Le leggi sulla blasfemia sono usate per dirimere vendette personali: chi ha distrutto 150 case è libero e indisturbato, un innocente incriminato con false accuse è condannato a morte”.
Egli annuncia una veglia di preghiera e protesta domenica per Asia Bibi e Sawan Masih, in concomitanza con le celebrazioni per la giornata di festa.
Amir Agha, attivista a Lahore, esprime solidarietà alla comunità cristiana e conferma l’adesione alle manifestazioni. “Faremo sentire la nostra voce – conclude – contro le ingiustizie”.
Un’altra condannata a morte eccellente in base al reato di blasfemia è Asia Bibi, la madre cristiana di cinque figli da anni nel braccio della morte e in attesa del giudizio di appello.
In passato giudici e autorità hanno a più riprese rimandato l’inizio del procedimento, a causa delle minacce esercitate dagli estremisti islamici. L’Alta corte pare aver infine calendarizzato il processo, fissando la prima udienza (dopo due chiamate andate a vuoto) per il prossimo 14 aprile.
La Chiesa cattolica e le denominazioni protestanti chiedono da anni l’abrogazione della “legge nera”. Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per soddisfare le rivendicazioni della frangia islamista, essa puniva con il carcere a vita o la condanna a morte chi profana il Corano o dissacra il nome del Profeta Maometto.
Nel 2009 AsiaNews ha promosso una campagna internazionale di sensibilizzazione; tuttavia, nessun partito politico o governo ha voluto mettere mano alla norma e quanti hanno proposto emendamenti – il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro cattolico delle Minoranze Shahbaz Bhatti – sono stati assassinati.
Secondo i dati raccolti dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Pakistan (Ncjp), dal 1986 all’agosto 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge sulla blasfemia: fra queste 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta.
Più di 40 gli omicidi extra-giudiziali (compiuti da singoli o folle inferocite) contro innocenti e i processi intentati contro disabili fisici e mentali, o minorenni; fra le tante, ricordiamo la vicenda di Rimsha Masih, sfuggita alle (false) accuse dopo una massiccia campagna di pressione su Islamabad.