Solo a partire dal suo rapporto con Dio” si può capire Karol Wojtyla. E’ uno dei passaggi dell’intervista a Benedetto XVI realizzata da Wlodzimierz Redzioch e contenuta nel libro “Accanto a Giovanni Paolo II” delle Edizioni Ares, pubblicato in occasione della canonizzazione di Papa Wojtyla il prossimo 27 aprile. Nella lunga intervista, la prima dopo la rinuncia al ministero petrino, il Papa emerito riflette sulla personalità e la spiritualità del suo Predecessore e racconta il suo rapporto straordinario con il Papa polacco quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
“Santo Padre, Lei dovrebbe riposare”; e lui: “Posso farlo in cielo”. In questo scambio tra Giovanni Paolo II e il cardinale Joseph Ratzinger, risalente alla visita di Papa Wojtyla a Monaco di Baviera nel 1980, c’è tutta l’intensità del rapporto tra i due straordinari servitori del Signore. Un rapporto a cui ci si accosta nella lettura della lunga intervista del Papa emerito a Wlodzimierz Redzioch.
Benedetto XVI ricorda che il suo primo vero incontro con Karol Wojtyla avvenne nel 1978 ai tempi del Conclave, ma già al Concilio Vaticano II si erano “cercati”, lavorando entrambi alla Costituzione Gaudium et Spes. “Percepii subito con forza – osserva – il fascino umano che egli emanava e, da come pregava, avvertii quanto fosse profondamente unito a Dio”.
Il racconto si sposta dunque in avanti di qualche anno quando, diventato Papa, Giovanni Paolo II chiama il porporato tedesco ad essere tra i suoi più stretti collaboratori come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
“La collaborazione con il Santo Padre – ricorda Ratzinger – fu sempre caratterizzata da amicizia e affetto” e “si sviluppò” sia sul piano ufficiale che su quello privato. Innumerevoli gli incontri tra i due e il Papa emerito confida che “era sempre bello, per ambedue, cercare insieme la decisione giusta” sulle grandi questioni per la vita della Chiesa.
La prima grande sfida, rileva, fu la “Teologia della liberazione” che si stava diffondendo in America Latina.
L’opinione comune, afferma, era che “si trattasse di un sostegno ai poveri”, “ma era un errore”. La povertà e i poveri, spiega, “erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica”.
Non era “questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo”.
Dunque, commenta Benedetto XVI, “la fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico”.
A “una simile falsificazione della fede cristiana – annota – bisogna opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro”.
Giovanni Paolo II, aggiunge, ci guidò “da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall’altro a esporre l’autentica vocazione della Chiesa alla liberazione dell’uomo”.
Un’altra sfida, ricorda, era “lo sforzo per giungere a una corretta comprensione dell’ecumenismo” e il dialogo tra le religioni e ancora il legame tra Chiesa e scienza.
Benedetto XVI mette l’accento sull’importanza delle Encicliche di Giovanni Paolo II, a partire dalla prima, la Redemptor hominis, in cui “ha offerto la sua personale sintesi della fede cristiana”.
Quindi, si sofferma lungamente sulla spiritualità del Beato Wojtyla.
Una dimensione, evidenzia, “caratterizzata soprattutto dall’intensità della sua preghiera e pertanto era profondamente radicata nella celebrazione della Santa Eucaristia e fatta insieme a tutta la Chiesa”.
Il Papa emerito non manca poi di dire la sua sulla santità di Karol Wojtyla.
“Che Giovanni Paolo II fosse un santo – afferma – mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro”.
C’è, spiega, “innanzitutto da tenere presente naturalmente il suo intenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore”. Di qui, soggiunge, “veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche doveva sostenere e il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile”.
Giovanni Paolo II, ribadisce, “non chiedeva applausi, né si è mai guardato intorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi”.
Il “coraggio della verità”, prosegue, “è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità. Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti”.
Nell’ultima parte dell’intervista, Benedetto XVI rammenta il grande affetto che lo legava al futuro Santo.
“Spesso – confida con grande umiltà – avrebbe avuto motivi sufficienti per biasimarmi o per porre fine al mio incarico di prefetto. E tuttavia mi sostenne con una fedeltà e una bontà assolutamente incomprensibili”.
Il Papa emerito fa l’esempio della Dichiarazione Dominus Jesus, che suscitò, nelle parole di Ratzinger, “un turbine”. Giovanni Paolo II, rimarca, difese “inequivocabilmente il documento” che egli approvava “incondizionatamente”. Il mio ricordo, confida infine, è “colmo di gratitudine”. “Non potevo – rileva – e non dovevo provare a imitarlo, ma ho cercato di portare avanti la sua eredità e il suo compito, meglio che ho potuto”. Per questo, conclude, “sono certo che ancora oggi la sua bontà mi accompagna e la sua benedizione mi protegge”.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana