«Non ti dimenticherò mai. Ho scritto il tuo nome sul palmo della mia mano.» (Is 49,15-16).
«Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare. (…)
Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo. (…) Fa’ tornare i miei figli da lontano e le mie figlie dall’estremità della terra, quelli che portano il mio nome e che per la mia gloria ho creato e formato e anche compiuto”.» (Is 43, 1-7)
Ultimissime dai media e dalla rete. Non contente, le femministe, della possibilità di assegnare il cognome materno ai figli, gridano al complotto e lamentano che è solo un diritto octroyée, concesso dal misoginismo e dal maschilismo imperante in questa società patriarcale che una tantum distribuisce zuccherini innocui per addolcire la medicina amara della subordinazione. «Uno sfregio, uno schiaffo in piena faccia», lo definisce Doriana Righini nel blog Sud De-Genere.
Sai che conquista, spiega: «Il cognome che potrei far assumere a mio figlio rimarrebbe sempre un cognome di provenienza maschile (sarebbe quello di mio padre, o di mio nonno, o di un bisnonno e così all’infinito).»
E allora, se rivoluzione dev’essere, ecco la ricetta: «nel mio personale immaginario, non ne usciremo fuori finché qualcuna (particolarmente coraggiosa, che abbia a cuore questo discorso, che non soffra di nostalgia e non se ne sentirebbe sradicata) non deciderà un giorno di trovarselo da sé, un cognome.
Uno “nuovo”, nuovo di zecca.» Le fa eco Lorenza Valentini su Globalist, e i due interventi sono puntualmente rilanciati da Donne Viola, «donne che non hanno bisogno di urlare e prevaricare per far sentire la propria voce nella società». E posto che chi rilancia in rete significa che condivide, al ritmo di «io sono mia» le femministe – quelle che «sulla maternità alle donne spetta la prima parola e l’ultima» – pare si stiano preparando a partorire il nuovo mostro.
Il suo nome è Nessuno.
E’ questa l’ultima frontiera. Sull’onda dell’autodeterminazione, rinnegare il cognome del padre ed anche quello della madre. E inventarne finalmente uno che ci aggrada. Diventerà il nostro cognome, anzi no. Il mio. E morirà con me perché mio figlio, mia figlia sceglieranno il loro.
Libertà assoluta, che significa sciolta da ogni legame. Rompendo la catena ordinata delle generazioni, inseguendo questo surrogato di libertà, saremo anelli vaganti, senza passato e senza futuro.
La vita? Una bolla di sapone. Una manciata di anni su questa terra e poi basta. Dopo di noi il diluvio. Non più, noi, anello di una storia che ci precede e che continuerà: famiglie che si incontrano, legami, relazioni… «Io sono mia», mi autodetermino anche nel cognome. Il nulla, prima e dopo di me.
Mentre scrivo, penso alla bellezza dei patronimici greci, romani, russi… Ciascuno pronuncia il proprio nome e poi, subito, con fierezza dice «sono figlio di…». Unico e irripetibile, sa però da dove viene.
Fa parte di una stirpe, di una famiglia, di una storia. Si sente un privilegiato perché è stato amato, gli han dato fiducia, è protagonista di un disegno che è più grande di lui. Gli “appartiene”, che non è una parolaccia. Significa che ne è parte. Che senza di lui quel disegno, quella storia sarebbero meno di quel che sono. Più poveri.
E’ violenza, questa? Sopraffazione?
Il mio nome è Nessuno.
Si sgolano sui cognomi, le femministe, e poi fan finta di non vedere. Ma di chi si diranno figli, quei figli prodotti in laboratorio: un pezzetto di mamma di qua (quella che ha venduto il suo ovulo), un pezzetto di mamma di là (quella che ha affittato il suo utero) e seme maschile scelto a catalogo (mi raccomando: che il donatore sia ricco bello sano intelligente…)
A chi rimanderanno quegli occhi, quelle mani, quel colore di capelli, quelle espressioni? Che storie racconteranno, che genealogia? Se le mamme-uovo e le mamme-pancia sono mamme a tempo, ricevono quanto pattuito e se ne vanno? Se quel seme dà un frutto che il padre per contratto non potrà mai vedere? Ah, certo: il corpo è mio e lo gestisco io. Basta che la scelta sia libera, il resto non conta.
Chiedo a voi, Donne Viola, donne arcobaleno, femministe che firmate i vostri articoli sulla stampa-che-piace-alla-gente-che-piace: che conquista è rinunciare al cognome, ad un padre e a una madre, alla storia di cui siamo figli?
Il mio nome è Nessuno. Questo vogliamo?
Luisella Saro
articolo pubblicato su Cultura Cattolica