Francesco di Sales era il primogenito di una nobile e ricca famiglia savoiarda. Avrebbe potuto trascorrere la vita a godere dei suoi beni, invece la trascorse a diffondere ciò a cui più teneva, la sua fede. Divenuto sacerdote (nei disegni di suo padre sarebbe dovuto essere un brillante giurista) provava a esprimerla con ogni sforzo, la predicava ogni giorno dall’altare, ma forse gli mancava qualcosa, quel talento oratorio che altri suoi colleghi sembravano avere: le sue parole, insomma, non facevano effetto.
Eppure, nonostante questo, non lasciò perdere: aveva troppo a cuore il contenuto che voleva esprimere, e così cambiò metodo.
Anziché parlare, scrisse: fogli volanti, i cosiddetti “manifesti”, che egli stesso diffuse in giro per le strade. Erano tante argomentazioni legate da un unico intento: correggere gli errori dell’eresia calvinista.Ovunque, senza confini e senza schemi.
“È un errore – scrisse – voler escludere l’esercizio della devozione dell’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati”.
E in tempi di perdita della ragione, di politica gridata, di continui effetti speciali, è bello riscoprire, nel ricordo di questo Santo celebrato oggi, il valore della parola scritta, la sua bellezza nel porre in modo ordinato il pensiero, facendolo passare dal vaglio dell’organizzazione mediata e dallo studio, costringendolo a interrogarsi, a porsi il problema della comprensione altrui, a specchiarsi nelle sue stesse pause quasi mai prive di significato (a proposito, che bellissimo strumento è la tanto bistrattata punteggiatura, colei che rende visibili le pause del pensiero).
Davvero abbiamo bisogno di pensare e ripensare più volte a quello che facciamo. Ce lo insegna questo Papa, genio della comunicazione e apparente campione di spontaneità, ma, al contrario, campione del discernimento, che il suo maestro Ignazio di Loyola ha insegnato al mondo.
È vero, ci insegna a non essere schiavi degli schemi preordinati, a essere disponibili a cambiarli (una volta ha tolto di mezzo un discorso preparato per “parlare con il cuore“) ma con la pedagogia del discernimento ci ricorda anche di pensare, prima di agire, il che può significare anche scrivere, prima di parlare, preparare il discorso o la lezione, prima di affastellare parole, il che non è per forza indice di impreparazione o artificiosità, ma può essere rispetto e cura per chi ascolta e apprende.
San Francesco di Sales, dal 1923, per volere di Pio XII è il patrono dei giornalisti, che da lui dovrebbero imparare l’amore per la propria opinione, per ciò che appare loro vero, ad onta di un malinteso neutralismo scetticista tanto in voga.
Ma, ancor di più, è il patrono dei sordomuti, coloro che hanno il dono di comprendere più di tutti gli altri, desiderandola, quale gran miracolo sia la parola, scritta o pronunciata, ponte tra le distanze, tra i drammi individuali, tra le “camere separate” che talvolta ci riduciamo a essere. L’ha creata Dio, la parola, come del resto tutte le cose. Spesso, però, la usa il Diavolo per la menzogna, che è “affermare con le parole ciò che non è”.
I santi, in fondo, servono anche a questo, a ricordarci l’uso di ciò che abbiamo in dono. Non lo faremo mai perfettamente, e forse neppure loro lo hanno fatto. Francesco lo sapeva bene, ma lo rendeva tranquillo una certezza: “Non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo”.
Pino Suriano
articolo pubblicato su Tempi.it