Tokyo (AsiaNews) – Dopo una vita di guerra (vera e immaginata) e una redenzione vissuta insegnando ai giovani il valore della pace, è morto l’ultimo samurai del Giappone imperiale. Hiroo Onoda, sottotenente dell’Esercito imperiale giapponese che ha trascorso 29 anni in una giungla delle Filippine convinto che la II Guerra mondiale fosse ancora in corso, si è spento ieri a 91 anni per una polmonite presso un ospedale di Tokyo.
Onoda nasce nel marzo 1922 in quella che oggi si chiama Kainan, nella Prefettura Wakayama. Nel 1944 entra nella Scuola militare dell’Esercito imperiale, dove viene addestrato per la guerriglia: il secondo conflitto mondiale sta per finire e i vertici militari giapponesi hanno abbandonato l’idea dei kamikaze per adottare quella dei combattenti infiltrati. Viene mandato nell’isola di Lubang, nelle Filippine, con il compito di dare “il maggior fastidio possibile” alle Forze Alleate che fanno base lì.
Nel 1945, dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki e la capitolazione del Giappone, Onoda è ancora nascosto nella giungla di Lubang. I volantini lanciati dall’aviazione americana per informare la popolazione che la guerra è finita sono scritti anche in lingua giapponese, ma il sottotenente ritiene la scrittura “troppo inaccurata” e li giudica un “trucco statunitense” per scovare i guerriglieri. Decide di continuare la sua battaglia personale.
Nel 1974 un esploratore giapponese, Norio Suzuki, si trova sull’isola per delle ricerche antropologiche e, in parte, anche per cercarlo. Convinto che sia stato inviato per lui, Onoda gli si rivela ma – alla notizia che la guerra è finita da tre decenni – risponde: “Non ho ricevuto alcuna comunicazione dal mio comandante in capo. Continuerò a combattere e a portare avanti il mio compito”.
Suzuki avverte il governo di Tokyo che riesce a reperire il maggiore Taniguchi, comandante del battaglione di Onoda: questi si reca nelle Filippine e ordina al suo antico commilitone di arrendersi. Dopo di lui continuerà a combattere per altri 7 mesi solo Teruo Nakamura, nativo di Taiwan ma arruolato dal Giappone, nascosto in una giungla dell’Indonesia. Nakamura morirà nel 1979 a Taipei da apolide.
Dopo aver salutato la bandiera e essersi inchinato al suo comandante, il sottotenente Onoda consegna la sua spada da samurai nelle mani del presidente Ferdinando Marcos (v. foto) e si arrende.
Il governo di Manila gli concede la grazia, ma la popolazione di Lubang continuerà negli anni a cercare giustizia per le 30 persone che l’ultimo samurai imperiale ha ucciso nel corso della sua guerriglia.
Nel 2010, in un’intervista, spiega: “Ogni soldato giapponese era pronto a morire, ma io ero stato addestrato a vivere e uccidere il nemico. Mi dispiace, ma erano i miei ordini”.
Nel 1975 raggiunge il fratello in Brasile e inizia a lavorare nella sua fattoria: qui si sposa con Machie, che diverrà la presidente dell’Associazione delle donne giapponesi.
Nel 1980 legge la storia di un giovane della prefettura di Kanagawa che ha ucciso i suoi genitori a causa dello stress provocato dagli esami di ammissione all’università e decide di tornare in Giappone. Vuole, secondo il fratello, “insegnare ai giovani come diventare abbastanza forti per superare le difficoltà della vita senza ricorrere alla violenza”. Per questo apre una scuola a Yamanashi nel 1984, che poi sposterà a Fukushima nel 1991.
Nel 1996 ritorna a Lubang per donare oltre 10mila dollari a una scuola elementare. Divenuto troppo anziano per lavorare in maniera attiva, inizia a girare il Paese per conferenze sul tema della “forza interiore” e della “redenzione come via per la pace”.
Lo scorso ottobre, dopo una riflessione di circa 20 anni, ha pubblicato un libro intitolato “Ikiru” (“Vivere”) che è divenuto un best-seller nel Paese.