Frati e suore diminuiscono in Italia (anche altrove). Lo sanno i superiori, lo sa il Papa, che tra l’altro ha affrontato la tematica nell’oramai famoso incontro di novembre con i Superiori generali il cui contenuto è stato diffuso pochi giorni fa. Tuttavia il calo numerico porta con sé almeno altre questioni di grande rilievo.
Aspetti che sono stati trattati da padre Giovanni Dalpiaz, benedettino camaldolese, sociologo, molto conosciuto non solo in Italia. Il suo intervento è stato pubblicato in rilievo sulla rivista Testimoni, dei Dehoniani di Bologna, il più qualificato periodico mensile che si rivolge a frati e suore.
In sostanza padre Dalpiaz spiega che i problemi da affrontare si chiamano: qualità della formazione vocazionale e ridimensionamento soprattutto per quelle opere educative e culturali che erano utili nell’Ottocento e nel Novecento ed oggi non lo sono più.
Proprio i numeri non ammettono discussioni: abbiamo circa 20 mila religiosi; 89 mila le suore, il 46% ultrasettantenni. Erano 154 mila le religiose nel 1971, mentre i religiosi stavano sulle 30 mila unità. È «con fatica», nota Dalpiaz che gli Istituti religiosi diventano consapevoli della profondità del cambiamento.
E poi si produce un’anomala situazione, anche per il sociologo. Frati e suore con le loro opere godono del favore delle persone e le comunità vengono assai apprezzate e frequentate. Tuttavia quelle stesse persone vedono con «indifferenza» i problemi numerici e gestionali per cui «si auspica che le opere continuino a funzionare senza però minimamente preoccuparsi di chi dovrebbe animarle, ossia della questione vocazionale».
Dunque il «ridimensionamento» si prefigura come indispensabile e non rinviabile, facendo risaltare sempre di più «la mancanza negli Istituti religiosi di una cultura della collaborazione: prevale una concezione gerarchica dei rapporti». Dove le opere (scuole, ospedali e via dicendo) vanno avanti grazie al lavoro dei laici, è molto forte una «asimmetria» nei rapporti. In pratica solo i religiosi hanno l’ultima parola. Un aspetto che non corrisponde più alla cultura contemporanea.
In più, nota Dalpiaz, il cambiamento che anche così è profondo e traumatico, a ben guardare mostra altri elementi. La vita consacrata si sta frammentando: nascono nuove comunità che attirano molti giovani e propongono esperienze eremitiche; altre proposte che attirano riguardano le piccole comunità di tre-cinque persone; in altri casi si diffondono comunità miste, aperte ai laici ed alle famiglie.
Esperienze che non sono interessate a durare nel tempo e a darsi strutture giuridiche stabili ed approvate e puntano piuttosto «all’autenticità vissuta nell’oggi». Conclusione: «andare avanti è difficile e faticoso» però «tornare indietro» non si può».
E sul fronte delle esperienze, padre Dalpiaz segnala, di passaggio, un aspetto che rende bene la dimensione del cambiamento italiano facendo presente che esistono 36 parrocchie affidate ad una religiosa. Non fornisce altri particolari. Però in questo settore molto sta maturando guardando fuori dall’Italia.
Il National Catholic Reporter, settimanale progressista di punta statunitense, nell’ultimo numero presenta la storia di Steve Mullin, laico sposato, padre di 4 ragazze, che «dirige» la parrocchia di Ognissanti ad Hayward in California.
Perché negli Usa i sacerdoti scarseggiano più ancora che in Italia. Così si cercano risposte nuove. E del resto le statistiche indicano che ci sono 553 parrocchie in tutti gli Usa senza parroco residente e dunque gestite da un diacono, da una suora, da un laico.
Fabrizio Mastrofini
articolo pubblicato su Vatican Insider