Città del Vaticano, 3 gennaio 2014 (VIS). Questa mattina, nella Chiesa del Gesù a Roma, il Santo Padre ha presieduto la celebrazione della Santa Messa nel Santissimo Nome di Gesù, in azione di grazie per l’iscrizione nell’albo dei santi del gesuita Pierre Favre. Canonizzato da Papa Francesco il 17 dicembre scorso, San Pierre Favre, primo compagno di Sant’Ignazio di Loyola – per cui viene definito “il secondo gesuita” – fu uno dei fondatori della Compagnia di Gesù, ed il primo gesuita ad essere ordinato sacerdote. Le tombe di Sant’Iganzio e di San Pierre Favre sono nella Chiesa del Gesù a Roma.
Papa Francesco ha dedicato l’omelia al nuovo santo che era uomo “inquieto” e “uomo di grandi desideri”. “Bisogna cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo ancora e sempre.
Solo questa inquietudine dà pace al cuore di un gesuita, una inquietudine anche apostolica, non ci deve far stancare di annunciare il kerygma, di evangelizzare con coraggio. È l’inquietudine che ci prepara a ricevere il dono della fecondità apostolica. Senza inquietudine siamo sterili”.
“È questa – ha affermato il Pontefice – l’inquietudine che aveva Pietro Favre, uomo di grandi desideri, un altro Daniele. Favre era un ‘uomo modesto, sensibile, di profonda vita interiore e dotato del dono di stringere rapporti di amicizia con persone di ogni genere’ (Benedetto XVI, Discorso ai gesuiti, 22 aprile 2006).
Tuttavia, era pure uno spirito inquieto, indeciso, mai soddisfatto. Sotto la guida di sant’Ignazio ha imparato a unire la sua sensibilità irrequieta ma anche dolce, direi squisita, con la capacità di prendere decisioni.
Era un uomo di grandi desideri; si è fatto carico dei suoi desideri, li ha riconosciuti. Anzi per Favre, è proprio quando si propongono cose difficili che si manifesta il vero spirito che muove all’azione”.
“Una fede autentica implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo.
Ecco la domanda che dobbiamo porci: abbiamo anche noi grandi visioni e slancio? Siamo anche noi audaci? Il nostro sogno vola alto? Lo zelo ci divora? Oppure siamo mediocri e ci accontentiamo delle nostre programmazioni apostoliche di laboratorio?
Ricordiamolo sempre: la forza della Chiesa non abita in se stessa e nella sua capacità organizzativa, ma si nasconde nelle acque profonde di Dio.
E queste acque agitano i nostri desideri e i desideri allargano il cuore. È quello che dice Sant’Agostino: pregare per desiderare e desiderare per allargare il cuore.
Proprio nei desideri Favre poteva discernere la voce di Dio. Senza desideri non si va da nessuna parte ed è per questo che bisogna offrire i propri desideri al Signore.
Nelle Costituzioni si dice che ‘si aiuta il prossimo con i desideri presentati a Dio nostro Signore’”.
“Favre – ha proseguito Papa Francesco – aveva il vero e profondo desiderio di ‘essere dilatato in Dio’: era completamente centrato in Dio, e per questo poteva andare, in spirito di obbedienza, spesso anche a piedi, dovunque per l’Europa, a dialogare con tutti con dolcezza, e ad annunciare il Vangelo.
Mi viene da pensare alla tentazione, che forse possiamo avere noi e che tanti hanno, di collegare l’annunzio del Vangelo con bastonate inquisitorie, di condanna.
No, il Vangelo si annunzia con dolcezza, con fraternità, con amore. La sua familiarità con Dio lo portava a capire che l’esperienza interiore e la vita apostolica vanno sempre insieme.
Scrive nel suo Memoriale che il primo movimento del cuore deve essere quello di ‘desiderare ciò che è essenziale e originario, cioè che il primo posto sia lasciato alla sollecitudine perfetta di trovare Dio nostro Signore’.
Favre prova il desiderio di ‘lasciare che Cristo occupi il centro del cuore’.
Solo se si è centrati in Dio è possibile andare verso le periferie del mondo! E Favre ha viaggiato senza sosta anche sulle frontiere geografiche tanto che si diceva di lui: ‘pare che sia nato per non stare fermo da nessuna parte’.
Favre – ha concluso il Santo Padre – era divorato dall’intenso desiderio di comunicare il Signore. Se noi non abbiamo il suo stesso desiderio, allora abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera e, con fervore silenzioso, chiedere al Signore, per intercessione del nostro fratello Pietro, che torni ad affascinarci: quel fascino del Signore che portava Pietro a tutte queste ‘pazzie’ apostoliche”.