Nel deserto dei sentimenti di questi nostri tempi, per noi anziani è bello ricordare il Natale di quando eravamo bambini e adolescenti, perché pur nella povertà e poi nella guerra di allora, era un Natale di gioia autentica e profonda, che lasciava il segno tutto l’anno. Il pensiero mi riporta al tempo natalizio nel mio piccolo paese di Tronzano nella pianura vercellese, quando c’erano le grandi nevicate, mezzo metro di neve era comune.
Noi tre fratelli avevamo perso mamma Rosetta nel 1934 con due gemellini prematuri: io avevo cinque anni, Franco quattro, Mario tre; e papà Giovanni, che diceva di volere 12 figli, era lontano, nella guerra di Russia e non è più tornato.
Siamo stati allevati dalla nonna Anna (Neta) che per noi è stata una vera mamma (aveva avuto 11 figli), da zia Gina handicappata nelle gambe ma ci raccontava, con la sua bella voce, le storie di Gesù, Giuseppe e Maria; e poi la grande zia Adelaide, autorevole insegnante e direttrice didattica delle scuole elementari, un personaggio a Tronzano, “il paese del tuono” (in piemontese “trun”).
Il Natale era la festa di tutti, la festa della famiglia, delle luci e dei commoventi canti natalizi: Adeste fideles, Astro del Ciel pargol divin, Tu scendi dalle stelle. Era la festa dei Presepi che si incontravano ovunque, nelle case e in chiesa, nell’oratorio maschile e in quello femminile (tenuto dalle Suore della Carità di Sant’Antida), ma anche nelle scuole e nella sede del Comune, nell’Albergo del Sole, nell’Alecta (fabbrica di legno compensato) e in altri locali pubblici, come negozi, aziende e anche osterie. In quel giorno eravamo una sola famiglia, era la festa dell’amore e della pace.
I parroci don Giovanni Ravetti e poi don Pietro Beuz, ancora ricordati e venerati, dicevano che Gesù Bambino porta il dono della pace, raccomandavano e facevano pregare per la pace nelle e fra le famiglie; e poi, tempo dopo, ringraziavano i tronzanesi perché a Natale diverse inimicizie si erano ricomposte.
In parrocchia il giorno del Natale era scandito dalle Messe, la Messa di mezzanotte, quella dell’alba e poi la scoperta dei “doni di Gesù Bambino” accanto al lettino di ogni bambino; e la “Messa grande” alle 10,30 con l’organo che suonava a piene trombe e faceva fatica a sovrastare le voci di tutto un popolo che cantava a gole spiegate, a tutta canna.
La grande chiesa era strapiena e non pochi fedeli erano nella contigua “chiesa della Regola”, che apparteneva alla Confraternita del Rosario ed era unita alla parrocchiale da una porta, nella quale gli altoparlanti portavano le parole del sacerdote, le musiche, i canti. Quanta emozione nel trovarci assieme per festeggiare la nascita del Bambino Gesù appena svelato nel Presepio parrocchiale.
E poi la gioia del pranzo natalizio nelle famiglie e anche tra le famiglie, con lo scambio di auguri e di doni, quando i tronzanesi “avevano il cuore in mano” come diceva il vecchio parroco.
Ricordo bene che mamma Rosetta e poi la nonna o la zia Adelaide ci portavano in una delle case di ringhiera del paese, dove all’ultimo piano c’era una famiglia come la nostra, povera e anch’essa con tre bambini.
I doni di Gesù Bambino, specie i sacchetti di cioccolatini che le zie sorelle della mamma ci portavano da Torino (allora una novità quasi assoluta per gente di paese), venivano divisi in due parti e noi bambini portavamo la loro parte a quei nostri amichetti; che, avvisati in precedenza, ci aspettavano e facevano salti di gioia.
E ricordo anche, anni dopo, papà Giovanni che mentre eravamo con la nonna sulla porta di casa passa il Giuanin a chiedere l’elemosina. Papà gli dà una moneta d’argento di cinque lire (una somma notevole a quel tempo, quando il nostro “pret” di adolescenti alla domenica erano 20 centesimi!) e quando Giuanin si è allontanato, nonna Neta dice a papà in tono di rimprovero: “Cinque lire! Ma Giovanni, lui le spende tutte per ubriacarsi!”. Papà risponde. “Oggi siamo tutti in festa perché è nato Gesù, lascia che faccia festa anche lui”.
Nel giorno di Natale, anche dove c’era divisione, regnava la pace, come cantavano gli angeli sulla stalla di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”.
Il Natale a Tronzano, lungamente preparato dalla frequentatissima Novena (con l’indimenticabile Regem venturum Dominum) e dalla raccolta di aiuti per i poveri casa per casa, non lasciava nessuno indifferente. Anche i non molti lontani per vari motivi, in quel giorno si vedevano in chiesa, almeno davanti al Presepio animato (ogni anno diverso e nuovo). A Tronzano c’era una cultura cristiana condivisa, che teneva uniti il paese e le famiglie nella comune letizia.
Ma allora, si dice, erano altri tempi. E’ vero, ma anche nei nostri tempi bisogna ritrovare quello spirito di fede, di speranza, di gioia e di fraternità che animava i Natali di allora, quando in Italia eravamo molto più poveri, meno istruiti e meno democratici di adesso e ci bombardavano dall’alto, senza che potessimo fare altro che pregare.
Cosa abbiamo perso mezzo secolo dopo? Senza alcun dubbio la fede in Gesù unico Salvatore dell’uomo, e con la fede la preghiera e la vita cristiana. Il Bambino che rinasce per noi anche in questo Natale 2013 può ridarci quello spirito, basta che gli apriamo la porta del nostro cuore.
Piero Gheddo
Fonte: Armagheddo