Non che corra il rischio, per carità, ma sono ben contenta di non essere Papa (sono già rappresentante di classe). Mi troverei subito a dover affrontare la questione delle donne nella Chiesa, e non saprei davvero da che parte cominciare. Perché si può costruire un albero, si può tessere la stoffa per la vela e montarla, ma non si può programmare il vento. L’uomo nella vita della Chiesa è la struttura, è l’albero.
A volte è così forte che è anche il motore, ma il vento sono le donne. Nella dinamica trinitaria di cui l’uomo, maschio e femmina, è immagine e somiglianza, se l’uomo è Gesù Cristo, è la donna che come lo Spirito Santo dà la vita. Ma lo Spirito, il vento, come possono essere scritti in un organigramma? Come si può dare un posto al vento?
Eppure lo si deve fare: lo dice il Papa, lo pensano in tanti e per inciso lo penso anche io. La voce delle donne deve essere più ascoltata nella Chiesa, e non solo quando una si fa notare per qualcosa di speciale, quando ha un carisma speciale. Dovrebbe essere così, che il vento spinge la vela, sempre, ordinariamente. Semplicemente perché è così che funzionano le cose.
Non il sacerdozio alle donne, dunque: la questione non è mai stata veramente aperta, e poi il pastore è un uomo, deve esserlo, perché è la sua struttura antropologica che lo porta a essere guida, a essere quello che indica la strada, quello che prende su di sé i colpi per difendere le sue pecore.
Il principio petrino è tutto imprescindibilmente maschile (un mio amico sacerdote dice che se Gesù fosse stato donna non si sarebbe lasciato mettere in croce, si sarebbe preoccupato troppo di lasciare da soli i discepoli, e io, da mamma, confermo).
Non la porpora cardinalizia, un contentino che solo clericalizzerebbe le donne, come ha appena detto il Papa, lasciando tutta aperta la questione femminile.
Ma il principio mariano precede quello petrino, scrive il Catechismo. In che forma si potrà arrivare a una maggiore attenzione, un ascolto più sistematico di tante sorelle, laiche o consacrate, davvero non saprei, e non invidio chi dovrà plasmarla, questa forma, magari procedendo per tentativi ed errori e avvicinamenti.
So di certo che contrariamente a quanto proclamato dall’ideologia del gender lo sguardo femminile e quello maschile hanno due campi visivi completamente non sovrapponibili.
Per dire, una volta con mio marito abbiamo incontrato un’amica, tutta agitata. Scuoteva il cellulare più o meno come una maracas: “Ho litigato con Andrea e non riesco a chiamarlo, mi si è rotto l’iPhone”
“Argh, hai litigato con Andrea?!” – ho gridato io, esattamente all’unisono con mio marito: “Argh, ti si è rotto l’iPhone?!” Questione di priorità.
L’uomo vuole modificare il mondo, fecondarlo, dandogli una forma, plasmandolo. L’uomo ama risolvere problemi, per questo, tanto per dirne una, gli piace la tecnologia, che gli permette di fare nuove cose. Ama i film d’azione, o i videogiochi, o comunque mettersi davanti a situazioni problematiche e cercare una soluzione. L’uomo esce fuori di sé e agisce.
La donna è più attenta alla dimensione interiore, alle relazioni, ai rapporti. Più che uscire accoglie, più che agire interagisce. La donna è pensata per essere ciclica: volente o nolente una volta al mese si resetta, e questo le permette di rimanere in contatto con la realtà.
E nel suo essere ciclica è legata alle stagioni, al tempo, di cui è complice perché lei sa che il tempo è gestazione, è tempo per qualcosa. È attesa per qualcuno. Più interiorizzata – scrive Pavel Evdokimov ne La donna e la salvezza del mondo – più vicina alla radice, la donna si sente a proprio agio nei limiti del proprio essere e con la sua presenza riempie il mondo dall’interno.
Poiché alla donna è affidata la vita quando è debole, nel suo formarsi, lei si ricorda che bisogna mangiare, dormire, non si scorda la natura. La donna è l’enciclica che Dio ha regalato a tutta l’umanità, prima che i Papi la riservassero ai soli cattolici.
Questa complementarietà è fondamentale. Quando Dio crea l’uomo a sua immagine la Genesi non dice né che lo fa intelligente, né che lo dota di anima, di volontà. Non dice niente di tutto questo. Dice solo maschio e femmina. Giovanni Paolo II chiedeva ai suoi più stretti collaboratori quante volte al giorno leggessero quel passo. “Dovete farlo, più e più volte ogni giorno, perché lì c’è tutta la verità sull’uomo”.
Questa complementarietà è essenziale, e, a volte poco ascoltata nella Chiesa, potrebbe forse segnare il passaggio a una nuova stagione: da una chiesa cristologica a una chiesa trinitaria. La donna, esperta di maternità, di vita, di sofferenza, è dentro la realtà in modo viscerale.
C’è una particolare connivenza tra lei, che è messa di fronte ai misteri più gravi della vita, e lo Spirito datore di vita e consolatore. La donna lotta per l’uomo, per la sua salvezza, è per lui come uno specchio positivo che gli mostra il bene e il bello possibili. È predisposta al dono di sé, e infatti si realizza quando può donarsi, che sia a dei figli di carne o no.
Se il messaggio di Gesù è dare la vita, l’unica gara lecita tra uomo e donna è sul dare la vita o lavare i piedi. Ben strana gara questa. Questo è il tipo di emancipazione su cui sarebbe bene riflettere. Questa è la complementarietà che trasforma i problemi in occasioni di novità (a patto che non debba essere io a capire come).
fonte: Il Foglio
articolo pubblicato sul blog di Costanza Miriano