Il World Islamic Forum consacra la Gran Bretagna come centro mondiale della finanza islamica.

Roma (AsiaNews) – Il nono World Islamic Economic Forum, tenutosi a Londra tra il 29 e il 31 ottobre scorsi, sancisce in modo definitivo la trasformazione della finanza islamica in un fenomeno mainstream. Fino a non molti anni fa, la finanza islamica era sconosciuta ai più.

Qualcuno, addirittura, la equiparava al finanziamento del terrorismo di matrice islamista. Nei primi anni dopo l’11 settembre 2001, tutto ciò che aveva a che fare con l’Islam era visto con preoccupazione.

Invece, nei giorni scorsi, il primo ministro britannico David Cameron è intervenuto al Forum, affermando che Londra non si accontenta più di essere il primo centro della finanza islamica al di fuori dei Paesi musulmani, ma punta a competere direttamente con Dubai e Kuala Lumpur.

Per la verità, già nel 2006, Gordon Brown, al tempo Consigliere dello Scacchiere, aveva espresso intenzioni analoghe, ma allora le sue affermazioni erano apparse velleitarie ai più; oggi lo scenario internazionale è ben diverso.

In un’Europa duramente colpita dalla crisi economica, la prospettiva di attrarre capitali da regioni ricche di liquidità come i Paesi produttori di petrolio è decisamente allettante. Cameron ha, infatti, annunciato l’intenzione del suo governo di lanciare un sukuk, cioè un’obbligazione compatibile con la shari’a, per raccogliere 200 milioni di sterline.

Ma che cos’è, esattamente, la finanza islamica? Il milieu da cui nasce è ben raccontato da Charles Tripp, professore presso la School of Oriental and African Studies di Londra, nel suo Islam and the Moral Economy: The Challenge of Capitalism, che racconta le reazioni delle società e delle culture islamiche nei confronti della penetrazione del capitalismo occidentale tra il XIX e il XX secolo.

Era diffusa, infatti, la percezione che l’economia di mercato avrebbe rappresentato un rischio per i valori religiosi e morali incarnati dalla tradizione islamica. E’ in questo contesto che nascono le basi dell’economia islamica (Islamic economics), una disciplina che punta a una riforma complessiva del sistema economico coerente con i principi dell’Islam.

Gli economisti islamici consideravano il socialismo e il capitalismo come fallimentari, dal momento che entrambi si basavano su una concezione dell’essere umano che trascurava la dimensione spirituale. L’asse fondamentale dell’economia islamica è stato individuato dall’intellettuale islamista pakistano Abul A’la Mawdudi nel divieto coranico della riba [usura], identificata con l’interesse.

Se l’economia islamica ha sviluppato le basi teoriche per una critica alle teorie economiche occidentali, la finanza islamica, sviluppatasi a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, rappresenta un tentativo pratico di creare un sistema alternativo.

Finanziata dall’enorme liquidità resa disponibile dallo shock petrolifero del 1973, essa ha conosciuto una fase di rapida espansione. La prima banca islamica commerciale moderna, la Dubai Islamic Bank, è stata fondata nel 1975.

Nello stesso anno, inizia le sue attività la Islamic Development Bank, creata dai ministri delle finanze dei Paesi membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica. In questa prima fase l’espansione delle banche islamiche riflette la volontà dell’Arabia Saudita di porsi come Paese egemone nel mondo islamico. Tuttavia, come si è detto, la coltre di sospetto calata sulle banche islamiche in seguito al 2001 ha contribuito a rallentare la sua espansione in occidente.

A questo proposito, la questione dei rapporti tra finanza islamica e Islam politico è stata spesso trattata con superficialità, sia dai suoi critici che dai suoi apologeti.

Il pregiudizio che identifica nella finanza islamica una sorta di longa manus del jihadismo è privo di fondamento. Tuttavia, i rapporti dell’Islam ‘politico’ con quello ‘economico’ sono molto più complessi di quanto non sembri. Come ha dimostrato il rigoroso testo The Politics of Islamic Finance, pubblicato da Clement Henry e Rodney Wilson nel 2004, banche islamiche e movimenti islamisti hanno spesso sviluppato relazioni articolate [1].

Oggi, venuti meno i sospetti dell’opinione pubblica, aprirsi alla finanza islamica è visto sempre di più come un modo per attrarre capitali. Senza dubbio, infatti, quello della finanza islamica è un settore molto vasto e in costante espansione.

Il fatto che, oggi, il Regno Unito sia un Paese leader nel campo della finanza islamica non deve sorprendere. Londra non è solo uno dei principali centri finanziari globali, ma ospita anche una consistente minoranza musulmana.

In Gran Bretagna hanno, inoltre, sede importanti centri di studio dedicati alla finanza islamica; in questo senso, riveste un ruolo pionieristico la Islamic Foundation, che ha sede a Markfield, nel Leicestershire, dal 1973.

Tra i padri fondatori dell’economia islamica, hanno avuto grande importanza gli intellettuali del subcontinente indiano che, sulla scia del pensatore islamista Abu Ala Mawdudi, hanno costruito la piattaforma teorica sulla quale si basa l’economia islamica. Grazie agli intensi rapporti tra il subcontinente, da un lato, e la Gran Bretagna, dall’altro, quest’ultima è divenuta essa stessa uno dei principali centri del pensiero islamico contemporaneo.

In particolare, la diaspora pakistana in terra inglese ha avuto ed ha tuttora un ruolo importante nella genesi e nello sviluppo dell’economia e della finanza islamica.

Questa rappresenta veramente un fenomeno globale. Spesso, nell’opinione pubblica, è diffuso l’equivoco che identifica Paesi arabi e mondo islamico; invece, nella storia della finanza islamica, hanno giocato un ruolo chiave aree non arabe e tutt’altro che marginali nel mondo islamico, quali il Pakistan e la Malaysia.

Questa sua grande espansione in tutto il mondo ha posto una serie di nuove sfide. L’economia islamica nasce infatti, come si è detto, dalla volontà di promuovere una riforma del sistema economico coerente con i principi dell’Islam.

Tuttavia, la finanza islamica, nata come ‘braccio operativo’ dell’economia islamica, viene spesso accusata di aver trascurato l’originaria ispirazione etica. La diffusione della finanza islamica costituisce un passo verso l’islamizzazione dell’economia o, al contrario, una vittoria dell’homo oeconomicus sull’homo islamicus? Il dibattito è stato intenso, e ha portato alcuni intellettuali islamici a criticare le basi stesse su cui poggia questo tipo di finanza. L’approccio di Mawdudi, influentissimo sui cosiddetti ‘padri fondatori’ della disciplina, avrebbe infatti promosso un’eccessiva enfasi sugli aspetti giuridici della shari’a, a scapito dell’ispirazione etica.

Il problema è che la crescita impetuosa della finanza islamica è andata di pari passo con la sua difficoltà a rispondere ai problemi socioeconomici ai quali l’economia islamica cercava di rispondere.

Si è dunque sviluppato un dibattito su quello che l’intellettuale Mehmet Asutay ha chiamato il “fallimento sociale ed etico” della finanza islamica. In altri termini, le banche islamiche, pur rispettando fedelmente la lettera delle norme della shari’a, ne avrebbero trascurato lo spirito, cioè l’ispirazione etica.

L’homo islamicus si sarebbe, dunque, piegato alla forza dell’homo oeconomicus. La critica degli economisti islamici al nostro modello socioeconomico li avvicina, per molti versi, alle riflessioni sorte in seno alle altre grandi tradizioni religiose dell’umanità, e in primis alla dottrina sociale della Chiesa.

Dalla Rerum Novarum del 1891 alla Caritas in Veritate del 2009, la Chiesa cattolica ha infatti sviluppato una profonda riflessione sugli stessi temi sui quali si è interrogata anche l’economia islamica. Un dibattito ecumenico su questi temi rappresenterebbe, per l’umanità intera, un motivo di speranza in più.

Daniele Atzori

 


[1] Su questo aspetto v. AsiaNews.it, 31/1/2007, l’articolo di SAMIR K., Finanza islamica e sharia, il suicidio dell’Europa