“L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna”. Lo ha esclamato Papa Francesco ieri mattina, nel ricevere in udienza in Vaticano una delegazione della Comunità ebraica di Roma, guidata dal rabbino capo, Riccardo Di Segni. Il Papa ha riconosciuto il percorso di dialogo tra ebrei e cattolici, compiuto negli ultimi decenni a Roma e nel mondo, e ha auspicato il radicarsi di una “vera e concreta cultura dell’incontro”, al di là del confronto teologico.
Il punto esclamativo sul foglio del testo ufficiale è in realtà il segnale di una convinzione da esprimere non perché la circostanza lo richiede, ma perché è un sentimento che in Papa Francesco nasce dal profondo del cuore: l’antisemitismo è un veleno da bonificare in chiunque, soprattutto se si dice cristiano.
Il Papa sta parlando del prossimo anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, avvenuto il 16 ottobre di 70 anni fa, e le sue parole strappano l’applauso alla trentina di persone guidate dal rabbino capo Riccardo Di Segni, che poco prima ha salutato il Papa ponendo in rilievo la “continuità” ma anche la “novità” dell’incontro:
“Sarà anche l’occasione per mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinché non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo. Lo ho detto alcune volte e mi piace ripeterlo adesso.
E’ una contraddizione che un cristiano sia antisemita: le sue radici sono ebree. Un cristiano non può essere antisemita! L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!”.
Prima e dopo questo passaggio, Papa Francesco si sofferma sulla storia, invero antichissima, del rapporto tra cattolici ed ebrei a Roma, per decifrarne il presente e il futuro. Sono quasi duemila anni, ricorda e riconosce, in cui non sono mancati “incomprensioni” e anche “autentiche ingiustizie”. E tuttavia, soggiunge:
“E’ una storia, però, che, con l’aiuto di Dio, ha conosciuto ormai da molti decenni lo sviluppo di rapporti amichevoli e fraterni. A questo cambiamento di mentalità ha certamente contribuito, per parte cattolica, la riflessione del Concilio Vaticano II, ma un apporto non minore è venuto dalla vita e dall’azione, da ambo le parti, di uomini saggi e generosi, capaci di riconoscere la chiamata del Signore e di incamminarsi con coraggio su sentieri nuovi di incontro e di dialogo”.
Se in queste parole è evidente il riconoscimento di quanto maturato negli anni dal Concilio in qua, Papa Francesco non dimentica il paradosso della Seconda Guerra mondiale, tragedia che – nella paura di quei giorni – insegnò ad ebrei e cattolici di Roma il valore di un’amicizia solidale ben più di mille discorsi, come dimostrano i gesti di accoglienza del Papa, del clero e di tanti cristiani, che aprirono le porte di monasteri e case per salvare chi era perseguitato, senza porsi troppe domande sulla sua diversa fede:
“Ebbero (…) il coraggio di fare ciò che in quel momento era la cosa giusta: proteggere il fratello, che era in pericolo. Mi piace sottolineare questo aspetto, perché se è vero che è importante approfondire, da entrambe le parti, la riflessione teologica attraverso il dialogo, è anche vero che esiste un dialogo vitale, quello dell’esperienza quotidiana, che non è meno fondamentale. Anzi, senza questo, senza una vera e concreta cultura dell’incontro, che porta a relazioni autentiche, senza pregiudizi e sospetti, a poco servirebbe l’impegno in campo intellettuale”.
Ed è esattamente in questo che definisce il “sentiero dell’amicizia” che Papa Francesco si augura di inserirsi nella sua veste di Vescovo della Città eterna:
“Spero di contribuire qui a Roma a questa vicinanza e amicizia, così come ho avuto la grazia, perché è stata una grazia, di fare con la comunità ebraica di Buenos Aires.
Tra le molte cose che ci possono accomunare, vi è la testimonianza alla verità delle dieci parole, al Decalogo, come solido fondamento e sorgente di vita anche per la nostra società, così disorientata da un pluralismo estremo delle scelte e degli orientamenti, e segnata da un relativismo che porta a non avere più punti di riferimento solidi e sicuri”.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana