Roma (AsiaNews) – A partire da ieri, tutto il gotha del Partito comunista cinese e diversi consiglieri ed esperti si sono radunati a Beidaihe (Hebei), una località turistica sul Mar Cinese, per affrontare i problemi più caldi del Paese: l’economia che perde colpi, la corruzione dilagante, il futuro processo a Bo Xilai.
Protetti da un potente cordone di sicurezza, come ai tempi di Mao Zedong, i leader dovranno affrontare anche la questione delle riforme politiche nel Paese o almeno all’interno del Partito. Tali riforme – che comprendono una maggiore democrazia interna ed esterna, un sistema di leggi a cui devono essere sottomessi anche i membri del Partito – sono state spesso evocate dai tempi di Jiang Zemin, sotto Hu Jintao e perfino dall’attuale presidente e segretario del partito, Xi Jinping. Ma esse non hanno ancora visto l’alba.
In compenso, sui media di Stato vi è una campagna contro tutti i pericoli che democrazia e rispetto della legge (“costituzionalismo”) potrebbero portare al Paese. Ieri, un editoriale del Quotidiano del popolo, metteva in guardia contro il “costituzionalismo”, contro l’idea che un sistema di leggi possa garantire e proteggere i diritti dei cittadini.
Secondo il giornale ufficiale del Partito, tale idea fa parte in realtà di una cospirazione dell’occidente per imporre ideali capitalisti in Cina e distruggere il socialismo. Finanziata da gruppi americani dell’intelligence, tale campagna è in atto dal dopoguerra e ha portato al collasso del comunismo nell’Unione sovietica.
Un altro articolo, dello stesso tenore, ma molto più drammatico, è stato pubblicato lo scorso primo agosto sulla Xinhua, col titolo “Le conseguenze del collasso della Cina sarebbero peggiori di quelle dell’Urss”. L’autore è un certo Wang Xiaoshi.
L’articolo, di circa 5mila caratteri, mette in guardia la Cina dal seguire le orme dell’Urss, facendo riforme democratiche perché queste creerebbero molta miseria e povertà e colpevolizza tutti gli attivisti e blogger che con le loro “false notizie” diffondono malcontento fra la popolazione.
La Cina ha sempre guardato con terrore alla fine dell’impero sovietico. Nell’89, alla caduta del Muro di Berlino, l’analisi del Partito dava la colpa del collasso a Solidarnosc, alla Polonia e a papa Giovanni Paolo II. E per questo da allora Pechino ha rafforzato la repressione contro sindacati liberi, contro tentativi di autonomia regionale, contro la religione cattolica e le religioni in genere.
L’analisi di Wang Xiaoshi è però molto particolare: esso dipinge l’Urss come un paradiso in terra. Al contrario, dopo che “la gente si è risvegliata alla ‘democratizzazione’ e ai ‘valori universali di felicità’”, ha scoperto che “il Pil era crollato del 50%; l’accesso al mare conquistato nei secoli era perduto; la flotta navale divenuta obsoleta, corrosa e ridotta a un cumulo di ferri vecchi; i nuovi locali oligarchi avevano saccheggiato le proprietà statali; la popolazione russa faceva file interminabili sulle strade per procurarsi i pochi beni disponibili; i veterani erano costretti a vedere le loro medaglie in cambio di pane”.
Per Wang la Cina rischia la stessa povertà, se non peggio, a causa del fatto che molti blogger hanno sposato gli stessi ideali che hanno portato l’Urss al collasso. “Ogni giorno – scrive – i microblogger e i loro protettori diffondono voci, fabbricano notizie negative sulla società cinese, creano una visione apocalittica sull’imminente collasso della Cina, disprezzando il sistema socialista vigente – e tutto per promuovere il modello europeo e americano del capitalismo e del costituzionalismo”.
In uno slancio pieno di furore, Wang condanna “voi, schiavi del mondo occidentale, voi che ogni giorno ingannate la gente su internet, voi che disinformate il popolo cinese e permettete ad altri di prendere il giro la Cina, rendendo la Cina povera e i suoi militari deboli. Voi siete cani degli Usa; voi portate vergogna e disastro alla Cina!”.
L’articolo si conclude con un proclama patriottico: “Voi deviati, protettori e gente ben conosciuta che avete intenzioni malvagie, se volete provocare agitazioni in Cina, controllando l’opinione pubblica, dovrete passare sul mio corpo… Finché io vivo, non vi permetterò di vincere!”.
L’articolo di Wang è stato molto criticato dai cibernauti perché, in uno stile tipicamente comunista, attribuisce alle vittime il carattere di carnefice. I blogger e gli attivisti sono accusati di diffondere “notizie false”, ma in Cina il controllo dei media arriva fino a cancellare fatti e disastri (come la Sars, i decessi nei terremoti, le inchieste sulle corruzioni,…).
In più, la descrizione della povertà del dopo-Urss è molto simile alla Cina attuale dove gli “oligarchi” hanno derubato prestiti alle banche, stipendi agli operai, terreni ai contadini, ampliando a dismisura l’abisso fra ricchi membri del Partito e poveri.
Fra tutte, vale la pena sottolineare la critica dell’accademico Yu Jianrong, direttore del Centro di ricerche sociali all’Accademia delle scienze: “Parliamo di chi porterà la Cina alla rivolta. Non sono forse i caporioni che hanno creato una più larga separazione fra ricchi e poveri? Non è il potere politico senza controllo che crea ingiustizia nella società? Non sono i rappresentanti governativi corrotti che rovinano la moralità? Lei [Wang] non guarda a tutto ciò, ma solo critica la [libertà di] parola della gente. Quali sono le sue intenzioni?”.
Vale la pena notare la stretta vicinanza fra le cose dette da Wang e quanto il presidente Xi Jinping ha sottolineato lo scorso dicembre nel suo viaggio nel Guangdong. Xi, che si è fatto la fama di moderato e di riformatore, nei suoi discorsi ha messo in guardia il Partito dal fare la fine dell’Unione sovietica. “Perché – si domanda Xi – l’Unione sovietica si è disintegrata? Perché il Partito comunista sovietico è crollato? Una ragione importante è che i loro ideali e credo erano stati scossi…. Gettare via la storia dell’Urss e del Partito comunista sovietico, gettare via Lenin e Stalin, e gettare via qualunque altra cosa significa impegnarsi in un nichilismo storico che confonde i nostri pensieri e mina l’organizzazione del Partito a tutti i livelli”.
In quel suo discorso, Xi Jinping non ha citato per nulla le tanto agognate “riforme politiche”. Al contrario ha ribadito che “solo il socialismo può salvare la Cina. Solo le riforme economiche e l’apertura può sviluppare la Cina, sviluppare il socialismo e sviluppare il marxismo”.
In pratica, ciò significa continuare sulla strada di Deng Xiaoping, che ha portato alle modernizzazioni tecnico- economiche facendo a meno della “quinta modernizzazione”, la democrazia, e portando la Cina al livello attuale di corruzione e di oligarchia.
E quasi in risposta alle preoccupazioni di Wang Xiaoshi, va incrementando sempre più la lotta, la violenza e gli arresti per tutti gli attivisti e blogger che osano diffondere “false notizie” su internet e mettono in dubbio che la Cina sia il migliore dei mondi possibili, proprio come l’Urss prima di Gorbacev.