L’anniversario del bombardamento di San Lorenzo di 70 anni fa è un’occasione di preghiera per gli scomparsi, un momento di riflessione su un flagello come la guerra, e un grato ricordo del venerabile Pio XII, “padre sollecito e provvido” che si recò subito in visita nel quartiere romano “tra le macerie ancora fumanti”. Lo sottolinea il Papa in un telegramma inviato al cardinale vicario, Agostino Vallini, che questo pomeriggio ha celebrato una messa nella Basilica del Verano.
“La pace è un dono di Dio, si legge nel messaggio, che deve trovare anche oggi cuori disponibili ad accoglierlo e ad operare per essere costruttori di riconciliazione e di pace”.
Francesco si sofferma poi sulla figura di Papa Pacelli, ricordandone la premura nei confronti della popolazione “nell’ora della prova”, nonché le celebri parole espresse dallo stesso Pio XII in un radiomessaggio del 1939: «Nulla è perduto con la pace, tutto può essere perduto con la guerra».
“Il gesto di Papa Pacelli – scrive il Pontefice – è il segno dell’opera incessante della Santa Sede e della Chiesa nelle sue varie articolazioni, parrocchie, istituti religiosi, convitti, per dare sollievo alla popolazione.
Tanti Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose a Roma e in tutta Italia furono come il Buon Samaritano della parabola evangelica, chinatosi sul fratello nel dolore, per aiutarlo e donargli consolazione e speranza”.
Un convegno, l’apertura di una mostra rievocativa, l’omaggio del sindaco di Roma, Ignazio Marino. Sono gli avvenimenti che in queste ore hanno segnato, e lo faranno per tutta la giornata, la commemorazione delle vittime del bombardamento del quartiere romano di San Lorenzo. Il 19 luglio 1943, gli ordigni alleati lo semidistrussero, facendo 1.500 morti e 4 mila feriti. Tremila furono in totale le vittime nella città.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Cadevano le bombe come neve, il diciannove luglio a San Lorenzo…”
(Da “S. Lorenzo” di Francesco De Gregori)
Pesano più o meno duemila libbre i “fiocchi” che poco dopo le le 11 della mattina cominciano a cadere su Roma. E d’acciaio sono le “nuvole” che li scaricano sulla Città Eterna, e indifesa. La gente scappa ma l’inferno arriva prima.
Prenestino, Tiburtino, Tuscolano, San Lorenzo: è un lunedì di apocalisse quello dei romani di questi quartieri. Scoppi, fumo, urla e sangue.
Gli aerei passano a ondate e completano l’opera a raffiche di mitra. La banchina della Stazione Casilina diventa la tomba dei passeggeri di un treno bloccato dall’attacco.
L’obiettivo alleato è la stazione di Roma Termini, ma chi ne fa le spese è soprattutto il vicino quartiere San Lorenzo.
Lo ricordava, in una intervista di dieci anni fa alla Radio Vaticana, il cardinale Fiorenzo Angelini, testimone oculare dell’incursione:
“Ero allora viceparroco nella parrocchia della natività di Nostro Signore Gesù Cristo in via Gallia, ai confini proprio della zona bombardata.
Erano le 11.10, 11.15. Io stavo benedicendo il matrimonio di alcuni sfollati. Mi affrettai a concludere la Santa Messa, uscii e vidi le fiamme e il fumo verso piazza Tuscolo.
Presi con me l’olio degli infermi, alcune particole consacrate e a grande velocità mi recai sul luogo del disastro. Sennonché, arrivato a piazza Tuscolo, mi trovai lì in mezzo a una seconda ondata di mitragliamento degli aerei che venivano”.
Il futuro cardinale Angelini si salva, ma 1.500 uomini, donne e bambini restano uccisi, la maggior parte sotto le macerie dei palazzi. Passano alcune ore finché, nell’atmosfera di panico, tra le grida dei feriti che si mischiano a quelle di chi cerca mogli, figli, genitori, accade un fatto sorprendente.
Da una strada laterale, appare un’auto nera. Don Fiorenzo Angelini la vede e capisce. Sull’auto c’è Pio XII. Allora si fa avanti, allarga le braccia e la blocca:
“Fermai la macchina perché lì vicino c’era una bomba di aereo inesplosa. Il Papa scese, la gente accorse immediatamente e il Papa fu di un’affabilità straordinariamente grande. Per cui, si trovò famigliarmente a trattare con questa gente che aveva sotto le macerie i propri congiunti.
A un certo momento si rivolse a mons. Montini, fece un cenno e mons. Montini tirò fuori un pacco grande di banconote. Il Papa cominciò la distribuzione.
Io, con molta umiltà, mi permisi di dire: ‘Padre Santo, la gente che ha bisogno non si trova qui, si trova sotto le macerie, per cui li dia al parroco che poi li distribuirà alle famiglie’. Il Papa accettò questo mio povero consiglio, umile, però molto pratico”.
(Da “S. Lorenzo” di Francesco De Gregori):
“E il Papa la domenica mattina da San Pietro, uscì tutto da solo tra la gente, e in mezzo a San Lorenzo, spalancò le ali, sembrava proprio un angelo con gli occhiali. E un giorno, credi, questa guerra finirà, ritornerà la pace…”
Come la testa di una cometa, Pio XII si muove un po’ nel quartiere seguito passo passo dalla scia della gente. Chiede delle vittime, dei danni.
Arriva davanti alla Basilica di S. Lorenzo sventrata dalle bombe, scende a stento, si muove tra le macerie – l’abito bianco che si sporca e macchia di sangue – e in un istante, intonando una preghiera, si fa interprete della preghiera di tanti.
E il buio pesto per un istante si rischiara di una luce più alta delle bombe che l’hanno spenta. Ancora il cardinale Angelini:
“Il Papa poi pregò insieme, ci fu un coro, l’invocazione della pace. Il grido di ‘pace, pace, pace’ non l’ho mai sentito forte come in quel momento.
Il Papa catalizzò immediatamente tutta la zona intorno a sé. Pregò, pregammo con lui, e poi andò via ma lasciando un’impronta, non consolatoria, perché la tragedia era una tragedia compiuta.
Quello che mi colpì è che vidi veramente la presenza di Gesù che era venuto in mezzo alla gente più derelitta, più abbandonata, più bisognosa in quel momento”.
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana
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