In circa quattro mesi di Pontificato, Papa Francesco ha assiduamente parlato di come intenda il ruolo dei sacerdoti, che per lui non possono essere altro che pastori umilmente a servizio del loro gregge. Alessandro De Carolis ne ripropone alcune in questo servizio
Le parole del Papa sono entrate ormai ben dentro la vita quotidiana della Chiesa e il Vangelo della liturgia di oggi – che mostra la chiamata e l’invio degli Apostoli da parte di Gesù – le richiama con particolare intensità.
Il concetto è semplice, anche se la tecnologia dilagante – con la sua aria “pulitina” e un po’ snob – ci ha reso come lei tutti un po’ asettici: chi esercita un mestiere, di quelli pratici, dove le mani si sporcano, porta addosso l’odore di quello che fa. L’odore della terra smossa di fresco, quello salmastro del pesce, del bestiame nella stalla. Quello dolce del legno o più acre del cuoio. Odori che sono la seconda pelle, o forse la prima, di un contadino e un falegname, di un conciatore, un pescatore, di un qualsiasi artigiano.
E questa è la “pelle” che Papa Francesco vuole come vestito per chi esercita il “mestiere” di prete, come chiarisce con quella straordinaria uscita dello scorso Giovedì Santo, pronunciata di getto dall’altare della cattedra in San Pietro e che fa il giro del mondo nel tempo di un tweet:
“Questo io vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore”. (Messa Crismale, 28 marzo 2013)
Dunque, il sacerdote deve avere addosso l’odore delle anime che pascola. Con in più, indica Papa Francesco in quella stessa circostanza, l’aggiunta di un’altra fragranza: l’olio di Cristo, l’Unto di Dio venuto a cospargere l’umanità di questa sua sostanza divina. “Il buon sacerdote – afferma il Papa – si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa – dice – è una prova chiara”:
“Quando la nostra gente viene unta con olio di gioia lo si nota: per esempio, quando esce dalla Messa con il volto di chi ha ricevuto una buona notizia (…)
E quando sente che il profumo dell’Unto, di Cristo, giunge attraverso di noi, è incoraggiata ad affidarci tutto quello che desidera arrivi al Signore: ‘preghi per me, padre, perché ho questo problema’, ‘mi benedica, padre’, “preghi per me’, sono il segno che l’unzione è arrivata all’orlo del mantello, perché viene trasformata in supplica, supplica del Popolo di Dio (…)
Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco (…) invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore”. (Messa Crismale, 28 marzo 2013)
Il prete-gestore è una delle derive del ministero sacerdotale che forse più inquieta Papa Francesco. L’odore che promana dalle vesti di questo tipo di presbitero, fa capire, può essere socialmente raffinato quanto cristianamente fasullo, perché l’odore di un pastore può essere di un tipo e non altri:
“Siete pastori, non funzionari. Siete mediatori, non intermediari (…) Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per cercare di salvare ciò che era perduto”. (Ordinazione di nuovi sacerdoti, 21 aprile 2013)
Nel Vangelo – osserva Papa Francesco incontrando la diocesi di Roma tre settimane fa – c’è un bel brano del Vangelo che “parla del pastore che, quando torna all’ovile, si accorge che manca una pecora, lascia le 99 e va a cercarla”. “Va a cercarne una”, sottolinea, ma esclamando subito dopo e chiamando in causa tutti i cristiani: “Noi ne abbiamo una; ci mancano le 99! Dobbiamo uscire, dobbiamo andare da loro”:
“Questa è una responsabilità grande, e dobbiamo chiedere al Signore la grazia della generosità e il coraggio e la pazienza per uscire, per uscire ad annunziare il Vangelo. Ah, questo è difficile. E’ più facile restare a casa, con quell’unica pecorella! E’ più facile con quella pecorella, pettinarla, accarezzarla… ma noi preti, anche voi cristiani, tutti: il Signore ci vuole pastori, non pettinatori di pecorelle; pastori!
(Convegno Diocesi di Roma, 17 giugno 2013)
E così come un gregge non può fare a meno della guida del pastore, un pastore non esiste senza un gregge da pascolare:
“Alla fine un vescovo non è vescovo per se stesso, è per il popolo; e un prete non è prete per se stesso, è per il popolo: al servizio di, per far crescere, per pascolare il popolo, il gregge proprio, no? Per difenderlo dai lupi. E’ bello pensare questo! Quando in questa strada il vescovo fa quello è un bel rapporto col popolo, come il vescovo Paolo lo ha fatto col suo popolo, no? E quando il prete fa quel bel rapporto col popolo, ci dà un amore: viene un amore fra di loro, un vero amore, e la Chiesa diventa unita”. (Messa a S. Marta, 15 maggio 2013)
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana