Il Papa a Lampedusa: chi ha pianto per quanti sono morti in mare? – Video

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In mezzo a chi soffre per scuotere le coscienze e vincere l’indifferenza che ci rende insensibili. E’ quanto Papa Francesco ha testimoniato, stamani, con la sua storica visita a Lampedusa. Il Papa venuto dalla “fine del mondo” ha voluto compiere il suo primo viaggio apostolico nell’estrema periferia dell’Europa, dove la sofferenza dei migranti in cerca di speranza si incrocia con la generosità della comunità dell’isola.

Momento culminante della visita, tanto breve quanto intensa, è stata la Messa all’“Arena”, il piccolo stadio di Lampedusa gremito di fedeli e migranti, oltre 10 mila persone. Poco dopo le 15.00, il rientro in Vaticano.

Sulla celebrazione di Papa Francesco, il servizio di Alessandro Gisotti:

La periferia che diventa centro, gli ultimi che diventano i primi. E’ il “miracolo” compiuto da Francesco a Lampedusa. Il Papa doveva venire qui, lui stesso confida questa necessità del cuore. Doveva guardare, sentire, abbracciare chi soffre e chi si fa ogni giorno “buon samaritano” per gli ultimi. Alla Messa, dal palco, può scorgere le carcasse delle imbarcazioni dei migranti.

E il suo pastorale – come il calice, l’ambone, l’altare – è realizzato con il legno delle barche che ogni giorno solcano il mare di Lampedusa. Simboli, come la scelta delle letture e i paramenti, che vogliono sottolineare la dimensione penitenziale della celebrazione.

Il Pontefice inizia l’omelia indicando proprio il motivo per il quale si è recato a Lampedusa: l’ennesima tragedia della migrazione.

Una notizia, ha detto, che è stata “come una spina nel cuore che porta sofferenza”, pensare a quelle barche che “invece di essere una via di speranza sono state una via di morte”:

“E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta, per favore!”.

Il Papa non manca però di ricordare subito, con gratitudine, quanti, a Lampedusa come a Linosa, mostrano attenzione per le persone che viaggiano “verso qualcosa di migliore”:

“Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie!”.

E ringrazia espressamente il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, e l’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, per quello che fa, per l’aiuto, la sua vicinanza pastorale. Poi aggiunge:

“Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: O’ Scià!”

Il Papa ha così rivolto il pensiero alle domande che le letture del giorno suscitano alla coscienza di ogni uomo, di ogni tempo. “Adamo, dove sei?”, “Caino dov’è il tuo fratello”.

Con il peccato, ha osservato, si rompe l’armonia e l’altro “non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere”.

L’uomo diventa allora “disorientato” perché ha perso “il suo posto nella creazione” e crede “di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio”:

“Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito”.

“Dov’è tuo fratello?”, domanda ancora il Papa. Questa, ha ribadito, “non è una domanda rivolta ad altri”, ma a ciascuno di noi:

“Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio!”

Quindi, ha denunciato con forza l’azione dei trafficanti, “quelli che sfruttano la povertà degli altri” e ne fanno “una fonte di guadagno”.

Richiamando poi l’opera letteraria spagnola Fuente Ovejuna, ha evidenziato che anche oggi, come nella commedia di Lope de Vega, siamo portati a rispondere “tutti e nessuno” quando vengono chieste le nostre responsabilità:

“Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io.

Ma Dio chiede a ciascuno di noi: ‘Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?’.

Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna”.

Papa Francesco ha soggiunto che “siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano”.

Anche noi, ha avvertito, “guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo ‘poverino’, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”:

La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.

In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza! Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!”.

Ritorna, ha detto il Papa, “la figura dell’Innominato di Manzoni”. La “globalizzazione dell’indifferenza – ha constatato con amarezza – ci rende tutti ‘innominati’, responsabili senza nome e senza volto”.

Papa Francesco ha dunque levato una terza, drammatica domanda: “Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?”:

“Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?

Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del ‘patire con’: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”.

Nel Vangelo, ha detto ancora, abbiamo ascoltato il grido di Rachele che piange la morte dei suoi figli. Erode, ha detto, “ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi”:

“Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. ‘Chi ha pianto?’. Chi ha pianto oggi nel mondo?”.

Il Papa ha concluso l’omelia chiedendo perdono al Signore per “l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle”, per “l’anestesia del cuore” causata dal chiuderci nel nostro benessere. “Chiediamo perdono – ha detto – per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”.

Al termine della celebrazione, l’arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, ha sintetizzato la gioia, la gratitudine e la commozione della gente di Lampedusa, migranti e comunità locale:

“Santo Padre, nel Suo abbraccio ci sentiamo tutti accolti, coloro che soffrono, e gli artigiani della pace che hanno fame e sete di giustizia. La Sua presenza e le parole da Lei pronunciate sono di sostegno sia per i nostri fratelli immigrati sia per le comunità di Lampedusa e Linosa che tante volte hanno portato un peso troppo grande facendosi carico di situazioni difficili affrontate sempre con grande generosità e amore. Grazie ancora Santo Padre!”.

Parole a cui ha risposto il Papa con un nuovo grazie ai lampedusani e, in particolare al parroco don Stefano Nastasi e alla sua comunità, per essere faro di solidarietà nell’accogliere con coraggio ma anche con “tenerezza” quanti cercano una vita migliore:

“Voglio ringraziarvi una volta in più, a voi lampedusani, per l’esempio di amore, per l’esempio di carità, per l’esempio di accoglienza che ci state dando, che avete dato e che ancora ci date. (…) Grazie a voi e grazie a lei, don Stefano” (applausi).
Testo proveniente dal sito di Radio Vaticana