Clamore suscitato dalla pubblicazione delle nuove linee guida della Cei per i casi di pedofilia

Ma, come al solito, chi attacca la Chiesa dimentica la sua instancabile azione contro la pedofilia: ecco dei casi clamorosi.  di Giuliano Guzzo
 

No, non è possibile che tutti abbiano abboccato, che ci siano cascati, che abbiano preso per vera – ancora una volta – una notizia inesistente. Perché ha davvero dell’incredibile il clamore suscitato dalla pubblicazione, da parte della Conferenze episcopale italiana, delle Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici; clamore scatenato dal fatto che questo documento lascerebbe i vescovi liberi di non denunciare i casi di pedofilia. Una bufala, ovviamente.

Ma andiamo con ordine e vediamo, all’interno di dette Linee guida, cosa afferma il passaggio che ha sollevato le polemiche. Si trova a pagina 7 e recita: «Nell’ordinamento italiano il Vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida».

Ora, affermare che «nell’ordinamento italiano il Vescovo [ …] non ha l’obbligo giuridico di denunciare» i casi di pedofilia significa solamente riportare quello che – piaccia o meno – prevedono le Leggi del nostro Stato. Le quali, se da un lato stabiliscono che «ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia» (Codice di procedura penale, art. 333, comma 1), d’altro lato limitano ai «pubblici ufficiali» ed agli «incaricati di un pubblico servizio», allorquando «hanno notizia di un reato», (Cfr. art. 333, comma 1) l’obbligo di denuncia; a meno che non si tratti «di un delitto contro la personalità dello Stato», eventualità che impone a chiunque di sporgere denuncia (Codice penale, art. 364).

Orbene, dal momento che il Vescovo – come giustamente chiariscono le Linee guida – non rientra tra i «pubblici ufficiali» e tra gli «incaricati di un pubblico servizio», «non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria statuale» notizie di possibili casi di pedofilia.

Scandaloso? Può darsi. Ma chi lo pensa sappia che il problema, qui, è la Legge italiana e non altro. Anche perché, a leggersi con attenzione la Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, si scopre come la volontà della Chiesa, quando si parla di crimini orrendi come la pedofilia, sia quella di fare chiarezza. La massima chiarezza.
Diversamente non avrebbe senso vincolare il Vescovo, non appena «abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale», a «procedere immediatamente». Questo, si badi, a prescindere che la notizia in questione sia stata considerata o meno attendibile dalle autorità statali.
Può infatti capitare – ed è capitato – che anche laddove lo Stato, attraverso i suoi inquirenti, non abbia trovato ragioni o prove per processare un presunto pedofilo, la Chiesa abbia continuato il proprio percorso di accertamento della responsabilità.

Si potrebbero citare molti casi, ma il più celebre, forse, è quello statunitense Lawrence C. Murphy, reverendo accusato di aver abusato di decine di bambini.

Ebbene, pur avendone ricevute molte, i magistrati, archiviarono le denunce a suo carico. Ciononostante la Chiesa – anche se si trattò di indagare crimini accaduti decenni prima – respinse una richiesta di prescrizione avanzata dello stesso reverendo, e andò avanti, interrogandolo, processandolo, condannandolo ed allontanandolo per sempre dalla possibilità di mietere nuove vittime.

Ma torniamo alle contestate Linee guida della Cei. Esse – dicevamo – stabiliscono per il Vescovo l’obbligo di «procedere immediatamente» non appena «abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale». Come? Le procedure risultano molto articolate e disciplinate con precisione.
Un fatto, comunque, emerge con chiarezza: «Il semplice trasferimento del chierico» accusato di pedofilia «risulta generalmente inadeguato, ove non comporti una sostanziale modifica del tipo di incarico». Nessuna volontà di insabbiare, dunque. Del resto, che oggi la Chiesa sia decisa a perseguire con ogni mezzo e anche al proprio interno gli abusi sui minori è documentato da numerosi eventi.

Pensiamo all’incontro avuto dal cardinal Angelo Bagnasco, nel giugno 2011, con un rappresentante delle associazioni che riuniscono le vittime degli abusi sessuali da parte del clero: nessun presidente della Cei, prima di lui, l’aveva mai fatto.
Oppure a quell’«evento globale senza precedenti» che è stato il «simposio scientifico promosso dalla pontificia università Gregoriana» lo scorso anno e che ha visto riuniti «vertici vaticani, vescovi, superiori religiosi ed esperti da tutto il mondo» per approfondire il fenomeno della pedofilia e le strategie più efficaci per contrastarlo; ancora, si pensi all’introduzione del reato di pedopornografia e l’allungamento, per il diritto canonico, dei termini di prescrizione da 10 a 20 anni per quanto concerne gli abusi sessuali.

Benissimo, possono replicare gli amici laicisti, ma questi provvedimenti sono stati assunti tardi perché la Chiesa, per anni, ha lasciato correre. Bugia pure questa, che è facile smentire ricordando i numerosi ed esemplari casi di lotta alla pedofilia da parte di vescovi e cardinali. Eccone alcuni.
Correva l’anno 1992 quando il cardinale arcivescovo di Chicago, Joseph Bernardin, a capo della seconda diocesi americana, istituì una apposita linea verde per consentire alle vittime dei preti pedofili di denunciarli; molto apprezzabile, per stare agli Stati Uniti, è stata anche la condotta dell’arcivescovo americano William Keeler, che nel 2002 pubblicò direttamente sul sito dell’arcivescovado di Baltimora – alla faccia dell’insabbiamento! – la lista dei 56 religiosi accusati (quindi non ancora condannati) di molestie ai minori dagli anni ’50 in poi.

Venendo a tempi più recenti e a casi italiani, non possiamo non ricordare il caso di Marco Dessì, missionario condannato per pedofilia grazie – come sostenuto da Marco Scarpati, avvocato delle vittime di Dessì nonché Presidente di Ecpat-Italia, associazione internazionale che si batte per porre fine alle prostituzione minorile, alla pedopornografia e alla tratta di minori – «alla grande collaborazione della Chiesa, che ha svolto un ruolo importantissimo nella ricerca della verità».

Encomiabile, poi, è l’opera infaticabile di don Fortunato Di Noto che con la sua Associazione Meter da anni segnala alle autorità siti pedopornografici e persone sospettate di pedofilia, senza distinguere tra laici e religiosi, ed ha pubblicato anche testi sull’argomento.

Per non abusare della pazienza del lettore ci arrestiamo qui, ma volendo potremmo continuare a lungo nell’elencare i tantissimi casi che mostrano come la Chiesa, da sempre, sia dalla parte dei bambini. Del resto, è stato proprio il suo Fondatore, con parole inequivocabili, ad affermare che «chi scandalizza» i bambini farebbe meglio a mettersi «una macina da asino al collo che fosse sommerso nel fondo del mare». Nessuna copertura per i pedofili, dunque. Tutt’altro.

Quindi, anche se da un lato «nell’ordinamento italiano il Vescovo [ …] non ha l’obbligo giuridico di denunciare», d’altro lato – come chiarito da monsignor Charles J. Scicluna, “promotore di giustizia” della Congregazione per la Dottrina della Fede – nonostante non sia formalmente imposto «ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti», costoro risultano incoraggiati «a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti di cui sono state vittime»; la riprova che questa sia la prassi – continua Scicluna – viene dall’esperienza e dai singoli casi, tra i quali quello «riguardante un sacerdote condannato da un tribunale civile italiano» dove è stata proprio la Congregazione per la Dottrina della Fede «a suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di adire anche alle autorità civili nell’interesse delle vittime e per evitare altri reati».

Ce n’è abbastanza, direi, per capire che se negli anni qualche caso di insabbiamento e copertura di abusi sessuali c’è stato, tra vescovi e sacerdoti, non è stato grazie alla Chiesa, ma nonostante la Chiesa.

Nota di BastaBugie: il 28 maggio 2012 sono state assolte con formula piena le tre maestre per i presunti abusi su 21 bambini avvenuti a Rignano Flaminio tra il 2005 e il 2006. Già due anni fa avevamo pubblicato la dichiarazione di Carlo Giovanardi: “Anche per il caso della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio… finirà, ne sono certo, nell’elenco dei falsi abusi”. E così è stato. Chi volesse leggere l’intero articolo dove si narra inoltre la storia di Don Giorgio Govoni, sacerdote di Modena, accusato ingiustamente di pedofilia, morto di crepacuore a causa del processo che si è concluso dieci anni dopo con il riconoscimento che il fatto non sussiste, può andare al seguente link del sito BastaBugie