Jakarta (AsiaNews) – Il potente Consiglio degli Ulema indonesiani (Mui) del distretto di Tegal, nella provincia dello Java centrale, si scaglia contro le scuole cattoliche con una fatwa “controversa” che ha già scatenato reazioni e proteste.
I leader religiosi hanno dichiarato gli istituti – apprezzati per la qualità dell’insegnamento e frequentati anche da moltissimi non cristiani – “haram” e “non buoni sul piano della morale” per i giovani studenti di fede musulmana.
In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo dove i cattolici sono una piccolissima ma significativa presenza, si apre così un nuovo fronte di scontro che vede protagonisti i membri del Mui, dopo i recenti attacchi al concorso di Miss Mondo. Una posizione durissima che colpisce le scuole, già nei mesi scorsi nel mirino delle frange estremiste islamiche e di amministrazioni locali con minacce di chiusure, poi rientrate.
Il Mui interviene spesso in materie inerenti la conformità di un comportamento verso i dettami dell’islam, come ad esempio nei casi di macellazione della carne o nei costumi. Tuttavia, in questo caso la motivazione alla base della presa di posizione degli Ulema è di natura “politica”.
Il loro intervento segue infatti gli appelli lanciati dalle autorità locali, volti a ottenere l’insegnamento della religione musulmana nelle scuole cattoliche agli studenti non cristiani.
Harun Abdi Manaf, capo del Mui di Tegal, ha spiegato che il consiglio “ha discusso a lungo” e “ad aprile è stata presa la decisione” di emettere una “fatwa rivolta ai genitori [di bambini musulmani] dicendo loro di non mandare i figli nelle scuole cattoliche”.
Egli ha fatto poi esplicito riferimento agli istituti cattolici di Tegal e Pemalang, a rischio chiusura già nei mesi scorsi perché si sono opposte al decreto ingiuntivo che le obbligava all’insegnamento dell’islam.
A difesa delle due scuole – oltre al vescovo di Purwokerto mons. Julianus Sunarko – sono scese in campo persino famiglie musulmane, difendendo il diritto allo studio e la qualità dell’insegnamento. Nel Paese, infatti, gli istituti gestiti da suore, preti e laici in molti casi rappresentano eccellenze ambite anche dai non cristiani.
Di contro, le autorità vogliono in tutti i modi ottenere una forma (anche minima) di controllo; la diatriba sull’introduzione dell’islam, infine, diventa anche un cavallo di battaglia politico ed elettorale, per conquistare i voti degli islamisti.
In questi anni, le autorità indonesiane hanno ceduto più volte di fronte alle pressioni del Mui. Ad Aceh, regione in cui governano i radicali islamici, le donne non possono indossare pantaloni attillati o minigonne.
Nel marzo 2011 il Mui si è scagliato contro l’alzabandiera “perché Maometto non lo ha mai fatto”; prima ancora aveva lanciato anatemi contro Facebook perché “amorale”, contro lo yoga, il fumo e il diritto di voto, in particolare alle donne.