Papa Francesco avrà da leggere, in questi giorni. E non tanto il rapporto dei tre “saggi” cardinali su Vatileaks, quanto un memorandum personale scritto da Benedetto XVI, una specie di manuale con le istruzioni per l’uso. Ne ha accennato su “Avvenire” l’arcivescovo Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, a cui le 98 primavere non hanno tolto (semmai aggiunto) neanche un briciolo di lucidità.
Parlando con il nipote del “Papa Buono”, Capovilla ha detto “Comunque sia, e non parlo del dossier Vatileaks, Benedetto XVI ha lasciato sulla scrivania del suo successore qualche cosa come trecento pagine scritte personalmente alla sua attenzione, è quello che mi dicono a Roma”. Da buon capitano, papa Ratzinger ha lasciato le “consegne” a chi avrebbe preso in mano il timone della barca di Pietro.
Ed è probabile che a questi appunti di viaggio, più che al rapporto dei tre cardinali papa Francesco dedicherà attenzione. Proprio intorno a questo rapporto crescono le critiche, e le perplessità, mano a mano che diventa più chiaro il modo in cui la Commissione ha lavorato.
Basandosi soprattutto sulle “denunce” dell’attuale nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, e soprattutto registrando voci e accuse senza però, in molti casi, permettere un contraddittorio. Limitandosi cioè a registrarle.
Uno dei punti più controversi riguarda la cosiddetta “inchiesta” organizzata da Viganò al Governatorato nei confronti di un sacerdote, Paolo Nicolini. Mons. Nicolini, molto stimato da Ruini, era stimato anche da Viganò, che gli chiedeva spesso consulenze di carattere tecnico e amministrativo.
Secondo persone informate, mons. Nicolini era però anche consultato dal segretario di Stato, Tarcisio Bertone; che gli chiedeva informazioni tecniche sul Governatorato, di cui Viganò era segretario, e forse anche su Viganò stesso.
Questo ha fatto sì che Viganò pensasse che mons. Nicolini facesse una sorta di doppio gioco, e quando Bertone gli ha annunciato che non sarebbe diventato cardinale, e che sarebbe andato nunzio negli Stati Uniti, è esploso il caso trasparenza.
E’ stata creata una commissione, guidata da un amico stretto di Viganò, mons. Egidio Turnaturi. E le indagini, come scriveva Vatican Insider, hanno trovato “non fondate altre accuse relative a monsignor Nicolini, anche se la commissione ha ritenuto riscontrati i rilievi riguardanti il suo carattere e ha suggerito di prendere provvedimenti”.
E’ stato molto importante anche l’intervento del Presidente del Governatorato, il cardinale Giovanni Lajolo, che ha messo molti puntini sulle “i”; rivendicando fra l’altro all’intera squadra, e a se stesso, il merito di aver avviato un lavoro di trasparenza.
Ma lo sbilanciamento del rapporto dei tre cardinali di Vatileaks su quanto dichiarava Viganò, unitamente ad altri elementi, influisce negativamente sulla credibilità dell’intero rapporto. Anche perché nell’immagine del grande accusatore si sono aperte alcune crepe, non di piccola entità.
Non ha mai voluto (a oltre un anno dalla sua partenza per gli Stati Uniti) rendere la disponibilità dell’appartamento che occupava al Governatorato, e che è ancora chiuso con tutti i suoi mobili dentro. Il cardinale Bertone aveva scritto una lettera, chiedendogli di ridare le chiavi al Vaticano; ma per qualche motivo (amicizie e coperture in Segreteria di Stato?) per lungo tempo il messaggio non è partito.
Inoltre, è di qualche giorno fa la notizia secondo cui Vatileaks nasce da una bugia. Lorenzo Viganò, biblista gesuita, ha sostenuto in un’intervista che suo fratello “mentì a Ratzinger quando chiese di restare a Roma perché doveva occuparsi di me malato”.
A quanto è stato scritto, per opporsi al trasferimento a Washington, Carlo Maria Viganò avrebbe scritto a papa Ratzinger dicendo che non poteva partire per la “necessaria, doverosa e diretta assistenza” in cui era impegnato nei confronti di suo fratello.
Lorenzo afferma nell’intervista che vive a Chicago, sta benissimo, e non ha più rapporti con il fratello da due anni, per “tensioni a motivo della nostra eredità”. E afferma: “è gravissimo che Carlo Maria abbia scritto il falso al Papa, strumentalizzandomi per fini personali”.
Purtroppo, a quanto sembra, i tre saggi (i cardinali Herranz, Tomko e De Giorgi) avrebbero, forse per rispetto verso l’istituzione, dato molto credito alle accuse di Viganò. Interrogando, fra l’altro, come un normale accusato il Segretario di Stato, Bertone…Una linea che alla luce di quanto sta emergendo getta un’ombra sull’affidabilità dell’intero rapporto.
articolo pubblicato su Vatican Insider