Eletto Papa Francesco, un gesuita con lo spirito riformatore di un francescano, quindi, si presume, un pastore fedele alla dottrina della Chiesa che vuole evangelizzare il mondo con l’ardore di un mistico, tanto da avviare il suo Pontificato pregando, come per ricordare al mondo cattolico che così si prega e a quello anti-cattolico che anche i cattolici pregano!
Davanti a queste eccelse qualità, ottime intenzioni, ferventi devozioni, si staglia, invece, uno scenario oscuro.
Appena nota l’elezione di un Papa “venuto dalla fine del mondo”, infatti, sembra che una specifica creatura sia venuta fuori dall’ignoto; strana creatura, dai contorni imprecisi, dalle sembianze grottesche, una creatura ibrida, chimerica, che assomma su di sé i caratteri, spesso in palese contraddizione, di tante altre bestie del creato: si parla di ciò che può essere definito come “cattolico da sottobosco”.
Chi è, dunque, il “cattolico da sottobosco”? È un cattolico che ama definirsi, in genere, “non praticante” (come se potesse esistere davvero; sarebbe come ammettere un campione olimpico che non ha abbia mai vinto nulla), che volteggia in tondo sulla Chiesa senza mai farvi posa, che costruisce raffinate critiche e dotte disquisizioni su qualcosa di cui all’un tempo si sente parte, ma a cui non vuole aderire; che si sente cattolico, ma nutrendo una incrollabile diffidenza verso la Chiesa, la sua dottrina teologica e soprattutto morale; che non prega, considerando gli atti di devozione come vecchi retaggi para-superstiziosi, ma che prontamente critica chi dovesse mancare di spiritualità all’interno del clero; che non pratica i sacramenti, ma che pretende il sacerdozio per le donne, la comunione per i divorziati, il matrimonio, anche quello religioso, divorziabile; che si straccia le vesti per il malcostume dei sacerdoti, attaccati al sesso, talvolta quello perverso della pedofilia, al denaro, al potere, ma che caldeggia l’abolizione del celibato, cioè del rigore ascetico del sacerdozio cattolico; che vorrebbe in cuor suo appartenere alla Chiesa, ma senza l’obbedienza; che ritiene che in tema di fede (dimensione che interpreta in modo assolutamente non privato, ma addirittura psico-intimistico) ognuno abbia il diritto di pensare ciò che vuole senza nessuna guida teorica, senza alcuna direzione teologica, insomma senza differenze tra ortodossia ed eresia e comunque senza eventuali conseguenze nel secondo caso.
Ecco perché il “cattolico da sottobosco” guarda alla figura di San Francesco d’Assisi con speranza e con fiducia, portandolo in giro, dentro e fuori la Chiesa, come esemplare prototipico di santità, di veracità dello spirito, di rottura con la corruzione ecclesiastica, di recupero dell’autenticità del messaggio evangelico, di vera, inossidabile, profonda imitatio Christi, tuttavia, deformandone spesso la figura e descrivendolo addirittura come un rivoluzionario, una specie di Che Guevara ante litteram.
Ma è proprio così? Sicuramente no, altrimenti si farebbe di San Francesco più di quanto il santo d’Assisi pensava di sé, e perché San Francesco non è di certo l’unico aderente all’imitazione di Cristo, tranne che si voglia negare che esistano altri santi oltre il “porziuncolo di Dio”.
Altri grandi esempi di vita monastica, spirito riformatore e carisma mistico, del resto, sono stati, tra le centinaia, San Benedetto, San Tommaso d’Aquino, San Pier Damiani, Santa Caterina, Santa Brigida di Svezia, Santa Faustina Kowalska.
Se San Francesco d’Assisi si spogliò dei suoi beni, San Benedetto si lanciò completamente nudo sui fittissimi rovi per resistere e vincere la tentazione diabolica, mentre San Tommaso d’Aquino intratteneva lunghe conversazioni, con immenso stupore e timore dei suoi confratelli che sentivano più voci e persino risate provenire dalla sua cella nel cuore della notte, con San Pietro e San Paolo per la risoluzione di problematiche teologiche poi ridotte per iscritto nella sua Summa Theologiae.
Quanto dunque è effettivamente francescano il “cattolico da sottobosco”?
Prendendo qualche esempio e qualche riferimento dagli scritti del santo di Assisi si scopre che il “cattolico da sottobosco” pensa di essere spiritualmente un francescano, ma è ben lungi dall’essere anche soltanto un banale eretico.
Circa l’obbedienza al Papato ed alla Chiesa, infatti, così intimava, nel suo “Piccolo Testamento”, ai suoi frati il santo d’Assisi: «Sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa».
San Francesco inoltre esortava a non disprezzare i chierici anche quando essi fossero peccatori: «Beato il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente secondo le norme della Chiesa romana. E guai a coloro che li disprezzano. Quand’anche, infatti, siano peccatori, tuttavia nessuno li deve giudicare, poiché il Signore esplicitamente ha riservato solo a se stesso il diritti di giudicarli»; difendeva il celibato (che oggi si vorrebbe abolito da parte di molti “cattolici da sottobosco” che dicono di ispirarsi al santo d’Assisi) tanto da scrivere che «tutti i frati, ovunque siano o vadano, evitino gli sguardi impuri e la compagnia delle donne»; esortava ad accertare con cura la ortodossia teologica di coloro che volevano far parte dell’ordine francescano, infatti scrisse che «se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ammettere i frati. I ministri, poi, diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa»; prevedeva sanzioni per chi si allontanava dall’ortodossia teologica e morale, tanto da scrivere che «tutti i frati siano cattolici, vivano e parlino cattolicamente. Se qualcuno poi a parole o a fatti si allontanerà dalla fede e dalla vita cattolica e non se ne sarà emendato, sia espulso totalmente dalla nostra fraternità».
San Francesco, inoltre, ordinava da un lato la povertà, ma non l’ingenuo pauperismo, diversamente da quanto oggi molti ritengono errando del tutto, tanto da disporre perentoriamente che «i calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi».
Inoltre ordinava la sottomissione e la fedeltà alla Chiesa, cioè alla sua gerarchia, alla sua dottrina teologica e morale; scriveva infatti: «Nessun frate predichi contro la forma e le prescrizioni della Santa Chiesa e senza il permesso del suo ministro»; sanciva il massimo rigore con riguardo alle ordinazioni sacerdotali (che oggi il “cattolico da sottobosco” vorrebbe estendere alle donne) scriveva: «Nessuno sia ricevuto contro le norme e le prescrizioni della santa Chiesa».
Più che un rivoluzionario, più che un sobillatore, più che un “rovesciapapi”, San Francesco era il santo della povertà materiale come espressione della povertà spirituale, cioè dell’umiltà, virtù che conduce, se davvero presente, in primo luogo alla sottomissione e all’obbedienza alla Chiesa cattolica, specialmente se si ritiene di appartenere ad essa.
Sembra, insomma, che il “cattolico da sottobosco” predichi beni su qualcosa che in effetti ignora del tutto.
Grazie a questo tipo di strano francescano che è il “cattolico da sottobosco”, dunque, si comprende che c’è tanta differenza tra l’essere francescani e il pensare di esserlo, quanta ne esiste tra il conoscere effettivamente il pensiero di San Francesco e il pensare di conoscerlo.
Il Papa, Papa Francesco compreso, serve proprio a questo, cioè a correggere chi sbaglia, a recuperare chi finisce fuori strada, ad insegnare a chi ignora.
Si spera che il “cattolico da sottobosco” possa finalmente imparare qualcosa.
Aldo Vitale
articolo pubblicato su Tempi.it