Giuliano Ferrara oggi sul Foglio ha ragione da vendere. Inutile continuare a corteggiare i grillini e cercare di interpretare i loro continui sbalzi politico-umorali nel vano tentativo di arrivare a un governo di minoranza con l’appoggio esterno del M5S. Il modello Crocetta/Sicilia, dicono.
Dimenticandosi di aggiungere che c’è un po’ di differenza tra un governo regionale e uno nazionale e che nell’isola tra grillini e Pd si è arrivati sì ad accordi, ma era meglio se non ci si fosse arrivati (latrare contro i cattivi americani del Muos, mandando a ramengo accordi internazionali, non è esattamente quel che si può definire una politica assennata e lungimirante).
Il modello Pizzarotti/Parma, dicono. Perfetto, guardate cosa succede nella città in cui il sindaco viene eletto in nome del “no” all’inceneritore e poi – dopo mesi di immobilismo e video-appelli su Youtube – si accorge che del termovalorizzatore non può farne a meno. Intanto, però, il Quoziente Parma l’ha tolto. E a Bologna? In quel caso per il Pd si tratta quasi di una premonizione. Governano la città, ma per paura dei grillini sono disposti a lasciar morire le scuole paritarie (e poi ai 1.700 bambini in strada chi ci pensa, la Casaleggio Associati?).
L’unica soluzione – volendo evitare il voto “alla greca” – è un’intesa Pd-Pdl. «La sfida bersaniana («o Grillo in maggioranza o morte»)», come la chiama Ferrara, è una sciocchezza dal respiro corto, imposta a un pallido segretario da «una base virulenta e incazzata, educata a perdere la ragione». Un accordo Pd-Pdl per un governissimo o un governo di transizione è quel che qualcuno si augurava? No. Ma è anche, numeri alla mano, l’unica soluzione possibile per evitare il ciarpame wi-fi.
A meno che, appunto, non ci si voglia illudere – li avete visti ieri, no? – che si possano trovare delle intese con chi ha nelle sue priorità di governo le piste ciclabili o chi pensa di potersi occupare di “demolire il proprio ego perché si è occupato di acqua pubblica”.
Ha ragione quindi Ferrara quando oggi sul Foglio scrive che «in democrazia bisogna rispettare tutti, d’accordo, si dice così. Anche un movimento nato dal fortunato vaffanculo di un attore comico annoiato? Anche una masnada di parvenu organizzati da un couturier del web che teorizza idee da setta new age sul futuro del pianeta Gaia? Bisogna trattare con i guanti una classe dirigente come quella che si lascia ammirare nei video delle prime assemblee di deputati e senatori a cinque stelle?».
C’è davvero qualcuno che crede si possa governare un paese con chi vuole «il reddito di cittadinanza, il referendum sull’euro, la pensione a sessant’anni, la bassa velocità e altre bellurie» di simile risma?
Inseguire i grillini, i vaneggiamenti di Casaleggio sul web-mondo che verrà, i vaffanculo di Grillo distribuiti a destra e a manca, è tentare la sorte; è farsi gabbare al gioco delle tre carte. Serve «mettersi d’accordo, stipulare un compromesso, governare la legislatura, scegliersi un presidente, cercare di svuotare il vaso della buffoneria protestataria». Una volta, tutto questo si chiamava “fare politica”.
Fonte: Tempi